2016-05-30 14:13:00

L’Iran vieta pellegrinaggio alla Mecca, tensione con Riad


I pellegrini sciiti a settembre non andranno alla Mecca. Dopo l’ultimatum di 24 ore lanciato sabato scorso all’Arabia Saudita, è questa la decisione presa da Teheran e motivata da ragioni di “dignità e sicurezza” dopo la strage di fedeli avvenuta l’anno scorso a Mina – a pochi chilometri dalla Città Santa – dove rimasero schiacciate nella calca oltre 700 persone, più di 400 iraniani. Ma sono davvero solo queste le ragioni della scelta dell’Iran? Roberta Barbi lo ha chiesto all’islamologo gesuita padre Samir Khalil Samir:

R. – C’è questo fatto: sono morti 464 iraniani l’anno scorso, sostengono quindi che la sicurezza non è come dovrebbe essere. Hanno avuto delle trattative tra di loro, che non sono però arrivate a un risultato. Si deve anche ricordare, però, che l’Organizzazione degli Stati Islamici – che si è riunita a metà aprile in Turchia – ha condannato anche l’Iran. Era di tendenza molto saudita, in quanto ha considerato sia gli Hezbollah che la Siria come terroristi e l’Iran come colui che appoggia sia Hezbollah del Libano, sia la Siria. L’hanno anche accusato di aver sostenuto lo Yemen.

D. – L’Iran sciita da un lato e dall’altro la dinastia sunnita wahabita che governa a Riad: due Paesi che nel gennaio scorso hanno interrotto le relazioni diplomatiche. Come mai?

R. – Perché c’è da parte dei sunniti un attacco contro gli sciiti: non sopportano gli sciiti. L’Arabia Saudita è quella che guida il gioco: ha bombardato lo Yemen – la parte sciita dello Yemen – lo aveva fatto anche nel Bahrein. All’Organizzazione dei Paesi Islamici – erano presenti 50 Paesi su 57 – ha fatto una condanna diretta all’Iran, dicendo che sostiene il terrorismo. Invece, tutti sanno che chi sostiene l’Is è l’Arabia Saudita, il Qatar, che lo finanziano. C’è un confronto totale tra le due parti, ma con attacchi più forti da parte dell’Arabia Saudita, che si considera il vero islam.

D. – La rivalità tra le due potenze del Golfo si vede anche dalle opposte posizioni che occupano nelle crisi regionali: pensiamo a Siria, Iraq, Yemen, Libano…

R. – Tutto parte dall’odio dei sunniti contro gli sciiti, che considerano eretici. Allora tutto diventa un pretesto... Certo, che gli sciiti non hanno simpatia per i sunniti, ma non attaccano direttamente. Tutto ciò che non corrisponde alla visione saudita che guida il gruppo sunnita perché ha le finanze – Arabia Saudita e Qatar – diviene motivo per condannare gli sciiti. Non sono arrivati a mettersi d’accordo sul numero dei pellegrini: prima l’Iran aveva diritto a mandare 100 mila pellegrini, poi è stato ridotto a 70 mila e adesso a 50 mila. Sono tutte piccole cose, che rinforzano, però, l’odio mutuo che per il momento è sempre a favore dell’Arabia Saudita, che è più forte.

D. – In passato, per tre anni consecutivi l’Iran aveva già boicottato il pellegrinaggio a La Mecca per e la cosa aveva innescato una escalation di violenza. C’è questo rischio anche stavolta?

R. – Il fatto di boicottare non crea rischio per nessuno, perché non ci saranno. Ma non risolve la situazione globale, perché non sono arrivati a trovare degli accordi: ciascuno accusa l’altro di esagerare le condizioni o, al contrario, di ridurre le condizioni di accettazione. C’è un problema: il mondo islamico non riesce a essere un mondo unito. Il terrorismo attuale in Siria e in Iraq è sunnita, al cento per cento, ed è sostenuto da questi Paesi sunniti che hanno il petrolio e che sono ricchi.

D. – Il pellegrinaggio non poteva essere, invece, una buona occasione per riavvicinare i due Paesi?

R. – Certo. Se loro avessero cercato di mettersi d’accordo, ma non è questo il caso. Stanno rafforzando l’opposizione, soprattutto da parte dei sunniti, che rappresentano la maggioranza. Faccio un esempio: esistono piccoli gruppi di sciiti in Egitto, in Africa del Nord e già questo è considerato come inaccettabile perché l’Egitto è un Paese sunnita e dice: “Non avete diritto neanche di avere una cappella sciita nel nostro Paese!”. In questa intransigenza c’è il contrario di tutto quello che noi chiamiamo ecumenismo. È ora che il mondo musulmano cambi atteggiamento e dica: “Bene, siamo diversi, ma che male c’è?”.








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