2016-05-24 14:53:00

Idomeni: 600 migranti trasferiti, sfiducia e paura dei rimpatri


La polizia greca ha iniziato all’alba a sgomberare il campo profughi di Idomeni, già annunciato giorni prima, e reso inaccessibile a media e volontari. Il trasferimento dei migranti in altri centri di accoglienza governativi costruiti con i finanziamenti europei, potrebbe richiedere al massimo dieci giorni e sta avvenendo lentamente, come ha dichiarato il portavoce del servizio greco di coordinamento della crisi migratoria, Giorgos Kyritsis. Si stima che nel campo al confine con la Macedonia si trovino più di 8 mila persone, la maggioranza delle quali sono famiglie bloccati in Grecia a causa della chiusura della "rotta balcanica". Un testimonianza diretta dal campo di Idomeni del giornalista Giacomo Zandonini intervistato da Valentina Onori:

R. – Lo sgombero è iniziato questa mattina presto. Il campo è stato accerchiato, più o meno, da forze dell’ordine. Si dice che siano circa 200 gli agenti. In realtà, ad occhio, potrebbero essere anche di più. Le ultime notizie sono – quelle che anch’io ho visto nel campo – la partenza di numerosi autobus: sette almeno, quelli registrati fino adesso, ma probabilmente ne partiranno altri, perché le persone continuano ad uscire con i loro bagagli. Qualcuno, nonostante le difficoltà che ci sono in questo campo, vuole rimanerci, perché spera ancora di poter proseguire la strada e non si fida delle comunicazioni date dal governo rispetto agli altri centri in cui dovrebbero essere mandate le persone.

D. – Lo sgombero si sta effettuando in modo abbastanza calmo, senza tensioni?

R. – Le persone sono stanche di stare in un contesto di questo tipo e di rimanere bloccate qui. Ancora, però, c’è chi dice invece: “Io non mi muoverò mai”. Quindi potrebbero esserci delle tensioni nei prossimi giorni, quando si arriverà ad una situazione in cui rimarranno poche persone e non vorranno lasciare la zona.

D. – Dove verranno trasferiti?

R. – In campi governativi. In Grecia, nell’ultime mese, ne sono stati allestiti diversi con i finanziamenti europei. Sono tendopoli, come quella di Idomeni, solo che sono organizzate come una sorta di maxi campeggi; per il momento, chiaramente, non hanno ancora molti servizi. Sono situazioni ancora piuttosto difficili, in zone isolate. Ci sarà molto da fare per garantire un’accoglienza degna e poi un trasferimento verso altri Paesi europei.

D. – E’ anche questo un segnale verso i profughi che vogliono raggiungere l’Europa?

R. – Chiaramente è il segnale che la via qui è definitivamente chiusa. Poi ci sono probabilmente anche ragioni più pratiche di riaprire un collegamento via treno, che però è stato bloccato, perché il campo profughi sorge in gran parte sui binari del treno che arrivava in Macedonia. Di base, però, in ossequio alle disposizioni europee, la Grecia ha preso questa decisione, perché ha ottenuto dei finanziamenti per allestire questi campi, che dovrebbero essere temporanei, per poi distribuire le persone in altri Paesi europei. Qui ad Idomeni ci sono soprattutto persone che erano già qui e sono rimaste bloccate dopo che è stato definitivamente chiuso il confine ed è entrato in vigore l’accordo con la Turchia. C’è il rischio che alcune persone siano rimandate in Turchia, in base agli accordi con l’Unione Europea, e poi che la Turchia, eventualmente, come è già successo, li riporti nei Paesi di origine. Anche per questo motivo, qualcuno potrà non volere restare qui e cercherà di allontanarsi indipendentemente, probabilmente durante la notte. Come è già successo ieri notte, quando ancora non c’era questo cordone di polizia.

D. – Oggi com’è la situazione?

R. – Le persone sono piuttosto sfiduciate e non si fidano delle comunicazioni che gli sono state date dalle forze dell’ordine. Temono di essere rimpatriate. Non gli è stato detto cosa troveranno in questi campi, non gli è stato detto per quanto tempo potranno rimanere. C’è un grosso spaesamento. Le famiglie si sono insediate da mesi e hanno creato anche un loro habitat di vita, nonostante le difficoltà estreme, soprattutto climatiche e anche di sicurezza, in un posto che comunque non è una casa.

D. – Voi, quindi, eravate stati allertati già da ieri sera che ci sarebbe stato lo sgombero?

R. – Questo piano era nell’aria, perché da alcuni giorni giravano gli elicotteri ed ogni mattina c’erano dei richiami con gli altoparlanti in arabo per sgomberare, abbandonare il campo. Poi dall’alba di oggi è partita effettivamente l’operazione.

D. – Sono stati smantellati dei punti di riferimento del campo, come la scuola, che davano il senso di una apparente normalità. Qual è il sentimento che si prova lì?

R. – Di incomprensione, di rassegnazione in parte per non poter decidere della propria vita, essere sempre nelle mani di altri. Tutte le persone che vivono qui dicono che è stato fondamentale per loro il contributo dei volontari, che hanno poi effettuato dei servizi molto importanti, aiutando a ricercare quella dimensione di paese: che sia la scuola, che sia lo spazio per giocare dei bambini, che siano altre attività. Nei campi governativi non hanno questa presenza dei volontari, che sarebbe invece una risorsa molto importante, perché qui ha portato effettivamente ad un miglioramento della qualità di vita delle persone.

Nelle stesse ore 50 agenti austriaci sono stati inviati al Brennero per intensificare i controlli della frontiera e "contenere il numero di persone che entrano in modo irregolare nel territorio austriaco", cosi' si è espressa la Direzione della polizia tirolese. Una situazione sempre più ingestibile, sulla quale sembra prevalere la sovranità dei singoli Stati piuttosto che un programma europeo efficiente. Su questo aspetto, un commento del presidente di "Medici Senza Frontiere Italia", Loris de Filippi:

R. – La Grecia in questo momento ha all’interno circa 50 mila persone che non è in grado di accogliere nella maniera più dignitosa. Anche le persone che verranno ricollocate da Idomeni non andranno in centri di accoglienza "a cinque stelle", con tutti i comfort. Molte di queste persone saranno mandate in Turchia, per poi, alcune di loro, essere ricollocate in uno dei 28 Stati membri. Siamo assolutamente contrari all’accordo europeo-turco e siamo preoccupatissimi per quello che succederà in Turchia, dove ci sono già 3 milioni di rifugiati all’interno. Mi sembra che l’Europa non cambi passo su questo argomento.

D. – Il problema è dei singoli Stati o dell’Europa, dell’Unione Europea?

R. – Io credo che un livello autarchico, come quello che hanno raggiunto i 28 Stati membri in questo momento, senza nessun tipo di cessione di sovranità, non ci sia mai stato negli ultimi anni. Il problema, quindi, dell’Europa sono sicuramente questi muri che vengono eretti all’interno di ogni Paese. Anche Schengen è messo in grave dubbio: molti Paesi ne chiedono perlomeno la sospensione di sei mesi. Ci rendiamo conto, quindi, di quanto le sovranità nazionali e gli egoismi nazionali pesino nei confronti della gestione di queste persone. Ricordo che è una situazione epocale. Forse noi non lo ricordiamo abbastanza, ma non è mai successo che 60 milioni di persone si mettessero in fuga dai loro Paesi.  

D. – Il programma di ricollocamento dei migranti in Europa è molto lento…

R. – L’anno scorso si era deciso, a giugno, di ricollocare dalle 28 alle 40 mila persone, dalla Grecia e dall’Italia verso l’Europa. Meno di mille persone, fino a questo momento, sono state ricollocate. Queste, quindi, sono un po’ le cifre che danno l’idea di quanto il tutto sia lento. Secondo me, un aspetto grave è che alle persone che oggi vengono spostate da Idomeni non si dica neppure dove andranno, quale sarà il loro campo di destinazione. Cosa che non è successa nemmeno con le organizzazioni che hanno lavorato nel campo di Idomeni e che hanno "messo un cerotto" ad una grave crisi umanitaria, creata dall’Europa stessa. Nemmeno noi siamo stati avvicinati per dire dove andranno queste persone.

D. – Non ci saranno vostri operatori nei nuovi campi profughi governativi?

R. – No, noi lo chiediamo con forza: noi vogliamo seguire le persone che abbiamo seguito ad Idomeni, per mantenere il nostro mandato umanitario, soprattutto il nostro collegamento a queste persone, che sono diventate una parte importante di noi. Se ci sarà impedito, faremo tutte le rimostranze del caso. In questo momento, però, la cosa grave è che nessuno sa dove andranno a finire queste persone.








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