2016-05-21 13:57:00

Santa Sede: vertice umanitario di Istanbul dia risposta di solidarietà


Si svolgerà il 23 e 24 maggio a Istanbul, in Turchia, il primo "Vertice umanitario mondiale" indetto dalle Nazioni Unite con l'obiettivo di individuare nuovi modi per affrontare le situazioni di crisi. All'importante appuntamento prenderà parte anche una delegazione ad alto livello della Santa Sede, guidata dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin. Servizio di Francesca Sabatinelli:

60 milioni di sfollati o rifugiati, 125 milioni le persone nel mondo che dipendono dagli aiuti dei donatori internazionali, sono alcune delle cifre che saranno sui tavoli del Vertice umanitario mondiale che si apre lunedì a Istanbul, voluto dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon. 110 i paesi che, secondo le Nazioni Unite, avrebbero confermato la loro partecipazione, una cinquantina di capi di Stato o di governo, seimila i delegati di organizzazioni non governative e settore privato. Tutti chiamati a ripensare al modo in cui è gestito l’aiuto umanitario, partendo dal drammatico dato che nel 2015 i donatori avevano versato meno del 50% dei circa 20 miliardi chiesto dall’Onu per la sua azione umanitaria. In Turchia, il Papa ha deciso di inviare una delegazione ad alto livello, guidata dal segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, e di cui faranno parte mons. Bernardito Auza, osservatore permanente presso l’Onu, e mons. Silvano Maria Tomasi, già osservatore permanente presso gli Uffici dell’Onu a Ginevra e ora al Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, che abbiamo intervistato:

R. – Questo Summit umanitario risponde all’emergenza in cui ci troviamo. Non c’è mai stato un momento così complicato, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, nelle relazioni umane, nelle crisi, nel numero di rifugiati, nei disastri fatti dall’uomo e dalla natura, come quello che stiamo vivendo ora. Per cui è importante partire dalla realtà e cercare di dare una risposta concreta veramente imperniata sulla solidarietà. Il primo punto, il primo passo da fare mi pare sia quello di riconoscere che siamo una sola famiglia umana, per cui c’è una responsabilità collettiva di affrontare questi problemi che si stanno accumulando: focolai di violenza, crisi economiche, che portano a quello che Papa Francesco aveva definitivo - con la sua intuizione brillante - “una terza guerra mondiale a pezzi”. Quindi, davanti a queste crisi, c’è una grande moltitudine di vittime: queste persone escluse dal benessere, escluse dalla pace, sono quelle cui dobbiamo dare una risposta. E questo Summit umanitario dovrebbe trovare strade nuove per prevenire queste esplosioni di violenza e queste crisi che maturano, dovute a cambiamenti climatici e a volte ad eventi naturali, come terremoti o altre cose simili. Dobbiamo cercare, tutti insieme, come società, come famiglia umana, di trovare una risposta. La Santa Sede è in prima linea in questa sensibilizzazione della cultura pubblica a dare una risposta creativa ed efficace. Prima di tutto a livello locale, laddove capitano questi avvenimenti dolorosi, la comunità cristiana – attraverso la Caritas, attraverso l’assistenza delle organizzazioni religiose – è lì, pronta a dare il suo contributo, anche se piccolo, alle volte, ma certamente efficace. E poi c’è la presenza umana di solidarietà che conta in certe circostanze, ancora più dell’aiuto fisico che viene dato. La presenza della Santa Sede, con una delegazione di alto livello, guidata dal segretario di Stato, vuole dare un messaggio: siamo già sul campo a rispondere alle emergenze, ma dobbiamo continuare a incoraggiare tutta la comunità globale a partecipare in questa risposta.

D. – Questo è il primo vertice di questo tipo, non ce n’è mai stato uno in precedenza. Secondo lei, segnerà una svolta? Considerando purtroppo il fatto che molti Paesi, anche membri delle Nazioni Unite, non rispettano neanche le basilari Convenzioni di Ginevra, per quanto riguarda la tutela e la difesa dei diritti umani...

R. – E’ vero che se ci mettiamo dal punto di vista delle vittime della violenza o della fame o dell’estrema povertà, si rischia di diventare piuttosto scettici. Si sono tentate in precedenza simili riunioni a livello di Stati, in cui grandi promesse sono state formulate, che non sono poi state attuate nella pratica. E il test di questo Summit, voluto dal segretario generale delle Nazioni Unite con tanta insistenza, sarà l’impegno operativo, pratico, che gli Stati si prenderanno, prima di tutto riguardo alle emergenze, e quindi una generosità nuova nel contribuire ai fondi di assistenza, per esempio dell’Alto Commissariato per i Rifugiati o dell’Ufficio per il coordinamento degli aiuti umanitari, in modo tale da rispondere all’emergenza e salvare vite. Poi, l'altro aspetto:  partecipare in maniera concreta nella formulazione di politiche economiche, soprattutto dando la possibilità alle persone che sono nelle aree sottosviluppate e di estrema povertà, di emergere e di partecipare nella vita economica. Più importante forse di tutto, in questo momento, è di prevenire la violenza causata da guerre e guerriglie: sono questi scoppi di violenza che stanno creando il numero più alto di emergenze e di vittime. Per cui, se c’è la buona volontà politica di fare qualcosa di concreto, bisogna arrivare ad eliminare le cause che creano tante emergenze e tante vittime.








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