La condizione dei rifugiati in Libano resta “critica”, i problemi si sommano fra loro e diventa sempre più difficile rispondere alle “emergenze” che si moltiplicano, siano esse “economiche, sociali, morali e umane”. A lanciare l’allarme all'agenzia AsiaNews è padre Paul Karam, direttore di Caritas Libano, da quattro anni in prima fila nell’accoglienza del flusso continuo di famiglie siriane (e non) che fuggono dalla guerra. Il Paese dei cedri non ha accolto solo i siriani, ma ospita da tempo “anche palestinesi, per non dimenticare gli iracheni che hanno lasciato negli ultimi anni case e terre per sfuggire alle violenze”. Ecco perché abbiamo bisogno di ulteriori “aiuti concerti, primo fra tutti il denaro” per poter continuare “la nostra opera”.
Per i costi della sepoltura i morti vengono tumulati in segreto
Fra i molti aspetti che toccano la vita dei profughi siriani in Libano, vi è la questione
della sepoltura dei morti. Non vi sono molte aree attrezzate e i (pochi) cimiteri
sono già riservati ai cittadini libanesi. Il tasso di morte fra i rifugiati siriani
è di gran lunga più elevato della popolazione locale, perché si tratta di persone
molto più vulnerabili. Almeno due terzi vivono in condizioni di “estrema povertà”;
sebbene non vi siano statistiche ufficiali, secondo alcune fonti vi è un decesso ogni
settimana fra i profughi di Bar Elias. E il costo medio per la sepoltura di un congiunto
può arrivare a toccare quota 250 dollari, insostenibile per i profughi siriani che,
in molti casi, preferiscono tumulare in segreto i congiunti.
Defunti seppelliti in fosse comuni
“Abbiamo sentito di queste notizie - conferma ad AsiaNews padre Paul - anche se non
hanno riguardato direttamente i nostri Centri. So di profughi che hanno dovuto seppellire
i morti in fosse comuni, in attesa di poter, un giorno, riprendere le ossa e poi fare
ritorno in patria. È un problema vero, come molti altri che complicano la vita di
ogni giorno”.
Il problema della registrazione dei bambini nati in Libano
Vi è poi la questione riguardante “i bambini nati in Libano”, che “non sono registrati
né in Siria, né in Libano”. La nostra, prosegue il direttore Caritas, “non è una terra
molto vasta” ed è impensabile concedere la cittadinanza a tutti, anche perché si va
a intaccare il delicato mosaico - etnico e religioso - su cui si fonda il Paese. “Il
punto - spiega - è che bisogna mettere fine alla guerra, al traffico di armi, agli
interessi sul petrolio, e permettere alla popolazione di poter tornare a vivere nella
propria terra. Anche perché è questo che vogliono!”. La registrazione dei nuovi nati,
avverte, “non può essere un obbligo per lo Stato libanese, ma deve essere responsabilità
della Siria e della comunità internazionale”.
Chi paga il prezzo della guerra sono i civili ed i poveri
Intanto Caritas Libano prosegue il lavoro di assistenza, in una condizione di estrema
difficoltà. “La gente è disperata e ha bisogno di aiuto - prosegue il sacerdote -
e non è disperdendola nei Paesi dell’area (Giordania, Libano, Turchia) o in Europa
che si risolve il problema. Il punto è mettere fine alla guerra, perché chi ne paga
il prezzo è la popolazione civile, i più poveri”.
Le difficoltà sanitarie ed economiche dei profughi
Seguendo l’appello di Papa Francesco in occasione dell’Anno giubilare della misericordia,
la Caritas e le Chiese libanesi hanno promosso e continuano a portare avanti programmi
di aiuto e assistenza, pur fra notevoli difficoltà. “Vi è un grave problema sanitario,
cui cerchiamo di far fronte - racconta p. Paul - e poi un aiuto concreto per le spese
di ogni giorno, perché la vita è molto cara, soprattutto per i profughi. Del resto
questa crisi ha impoverito l’intera società libanese”. Da qui l’appello ai cattolici
di tutto il mondo, perché attraverso una “donazione alla Caritas” sostengano davvero
l’opera di quanti “sul campo” cercano di portare “aiuto e conforto” ai più sfortunati.
(R.P.)
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