2016-05-19 15:01:00

Open Europe: al via assistenza migranti respinti da hot spot


Un progetto per assistere i migranti respinti dagli hot spot e lasciati in condizioni di disagio ed esclusione. Si chiama Open Europe ed è stato presentato oggi alla Camera dei Deputati dai promotori: Oxfam, la Diaconia valdese e l’Associazione di legali Borderline Sicilia che in merito all’ ennesima sollecitazione europea a hotspot supplementari anche in mare, rispondono che non è il numero che conta, ma il rispetto della disciplina giuridica e l’applicazione dei ricollocamenti. Il servizio di Gabriella Ceraso:

Un operatore sociale, un mediatore culturale e un legale. Questo è il team mobile del progetto che inizierà nei prossimi giorni a spostarsi nella Sicilia orientale a partire dall’hot spot di Pozzallo, per intercettare e rispondere subito con kit igienici e una accoglienza dedicata, in caso di persone vulnerabili, e in seguito con informazioni legali a quanti - uomini donne e bambini - per decreto sono stati considerati da respingere. Occorre evitare che si trasformino come già in parte accade, in “fantasmi” che si muovono nel nostro Paese senza sapere nulla, a causa di un errore di fondo, spiega Alessandro Bechini, direttore programmi Oxfam Italia:

“Noi attualmente siamo in una situazione in cui gli hot spot non hanno una cornice giuridica che disciplini le attività che debbono essere svolte all’interno. L’hot spot non è una struttura, l’hot spot è una procedura. Il problema è che questa procedura non è inserita in un quadro giuridico. Ci sono, quindi, grandi difformità e non si riesce mai ad avere una garanzia per le persone che vengono intervistate all’interno degli hot spot. Il problema, quindi, non è aprirne altri o renderli 'galleggianti'. Il problema è che noi stiamo spingendo molto, perché ci sia una disciplina giuridica degli hot spot e che si sappia in maniera oggettiva che cosa avviene all’interno di essi e quali siano le procedure applicate”.

Succede così che interrogatori identificazioni e registrazioni proprie delle procedure degli hot spot avvengano in violazione di una serie di diritti:

“Dalle notizie che abbiamo, che emergono dagli hot spot, il problema è che questo primo screening viene fatto dalla polizia, che non ha alcun diritto, non ha una copertura giuridica per fare questo. Molto spesso queste persone non hanno le informazioni necessarie, perché le organizzazioni preposte a questo hanno spesso accessi difficili, sono in numeri inferiori rispetto alle necessità vere; e, soprattutto, molto spesso queste prime interviste vengono fatte immediatamente, quando le persone sono appena sbarcate e in forte stato di stress. Non hanno un’assistenza di un mediatore sufficientemente preparato, pronto e soprattutto non c’è un’evidenza di un testo che viene lasciato, che definisca quali domande sono state fatte, che tipo di risposte sono avvenute. Sono, quindi, allontanati in maniera troppo spesso arbitraria”.

Situazione al limite anche per donne e bambini specie minori non accompagnati racconta Massimo Gnone, referente migranti per la Diaconia valdese:

“Quello che abbiamo notato già in questi primi giorni di inizio del progetto è che le persone e anche dei minori - dei minori stranieri non accompagnati - sono trattenuti negli hot spot per diversi giorni, settimane e anche mesi. Questo non deve avvenire perché l’hot spot dovrebbe essere solo un centro di primissima identificazione e poi le persone dovrebbero trovare una collocazione in centri adatti, soprattutto i minori”.

Cosa fare dunque? Le richieste al governo sono chiare. Ancora, Massimo Gnone:

“La nostra richiesta è quella di far sì che le persone possano accedere al diritto di fare richiesta d’asilo - l’asilo è un diritto soggettivo - e possano essere ascoltate davanti alle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, che poi deciderà sul loro destino dal punto di vista giuridico”.

In Italia si può fare accoglienza dignitosa: ce ne sono le forze e le possibilità, certo senza il supporto del tassello fondamentale del sistema hot spot, cioè i ricollocamenti a rilento in tutta Europa, ogni sforzo rischia di essere vano, anche l’apertura di nuovi centri o il loro collocamento mobile, persino in mare come  detto dal ministro dell’Interno Alfano e avallato dall’Europa. Ancora Alessandro Bechini:

“Non capisco cosa cambi. Se noi, cioè, facciamo l’identificazione in mare, sulle navi, noi avremo una parte che viene ammessa al circuito dell’accoglienza e una parte no. Questi comunque vengono tutti riportati a terra e hanno la stessa procedura. Spostiamo, quindi, semplicemente l’attività identificativa sulle navi. Qui non è questione del numero di hot spot che verrà aperto, qui la questione è come questi hot spot verranno disciplinati e soprattutto come funzionerà il sistema di ricollocamento all’interno dell’Unione Europea. Finché non c’è questo, è soltanto un aggravio di procedure, ma che non affronta in maniera diversa quello che succedeva nei centri di primo soccorso e accoglienza”.








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