All’indomani del vertice tra i Presidenti armeno, Serzh Sargsyan, e quello azero, Illham Aliyev, ieri a Vienna, nel Nagorno-Karabakh ci sarebbero già due vittime, tra i militari di entrambe le fazioni. Nell’enclave armena in territorio azero si continua a morire, nonostante le dichiarazioni dei due Capi di Stato di voler mettere fine al conflitto, in atto dal 1992 e che, dal 1994, a dispetto della tregua, è ancora irrisolto. Nell’aprile scorso le due parti hanno ripreso le ostilità, provocando decine di morti. Francesca Sabatinelli ha intervistato Simone Zoppellaro, giornalista corrispondente dall’Armenia di Osservatorio Balcani e Caucaso:
R. – E’ un segno importante, perché i due Presidenti si sono incontrati e questo non capitava da un po’ di tempo, soprattutto non capitava dallo scorso aprile, quando è avvenuto il peggiore episodio da che questa guerra era stata interrotta da un cessate-il-fuoco nel ’94. Dopo il ‘94 non erano mai avvenuti episodi di guerra duri come quelli dell’inizio di aprile, quando ci sono stati oltre 300 morti. I due Presidenti si incontreranno ancora in seguito e si spera che ciò possa portare a un accordo di pace.
D. – Ma cosa ha impedito finora, e cosa impedisce ancora oggi, di arrivarci a questo accordo di pace?
R. – Interessi di tanti attori in campo, interni ed esterni rispetto a questo conflitto. L'Azerbaigian è uno Stato particolarmente ricco di petrolio e di gas, ha una sola famiglia, quella degli Aliyev, al potere dal 1969. Il conflitto del Karabakh viene utilizzato da questa famiglia al potere per giustificare le varie limitazioni delle libertà. Stessa cosa, in parte, possiamo dirla per l’Armenia, che è uno Stato invece più democratico, che ha cambiato Presidente, anche dopo l’epoca sovietica, ma che viene strozzato continuamente da un manipolo di oligarchi, che hanno monopoli interi dell’economia armena. Quindi, possiamo dire che entrambi questi attori utilizzano questo conflitto per giustificare il non giustificabile: diseguaglianze, mancanza di libertà… Poi c’è la Russia che è ufficialmente alleata con l’Armenia, ma che vende larghissima parte degli armamenti all’Azerbaigian. Quindi la Russia fa un doppio gioco, perché così mantiene una presenza importante nel Caucaso del Sud. L’Europa e l’America hanno avuto, invece, una grande indifferenza nei confronti di questo conflitto e non si sono mai spese davvero per risolverlo. Quindi, purtroppo, questa situazione si è trascinata avanti per addirittura un quarto di secolo!
D. – L’idea di mettere fine a questa tensione, a questi morti, sembra proprio che non sia nell’agenda di nessuno!
R. – Sì, sono d’accordo: non è davvero nell'agenda di nessuno! Ricordiamo che, fra l’altro, per questo conflitto abbiamo avuto oltre 30mila morti, oltre un milione fra profughi e sfollati; i danni che possiamo immaginare per l’economia, per la libertà, per l’uguaglianza di questi due piccoli Paesi, che però sono anche parte del Consiglio d’Europa, per cui anche l’Europa dovrebbe avere un atteggiamento molto più collaborativo, un impegno molto più grande nei confronti di questo conflitto. Invece, ha dominato su tutto un grande cinismo, da tutte le parti! Anche da parte dell’Italia, che ha grandissimi interessi nell’area. Ricordiamo che l’Azerbaigian è il primo fornitore al mondo di petrolio per l’Italia e che, a breve, porterà il suo gas in Italia, nelle Puglie, con il Progetto del Tap. Purtroppo questo conflitto non risponde a logiche militari, ma a logiche politiche, per cui in determinati momenti si decide che ci debba essere una escalation, probabilmente dovuta a motivi politici, e che si debba quindi tornare a mettere in primo piano questo conflitto, soprattutto – secondo molti analisti – da parte dell’Azerbaigian. Tra l’altro, la settimana scorsa, ho visitato le trincee, la prima linea. Ho visitato il villaggio di Talish, che è diventato, dopo le incursioni di inizio aprile, un villaggio fantasma: tutta la popolazione è sfollata; scuole distrutte; case distrutte; moltissimi morti, feriti, mutilati. E poi ho visitato le trincee, che sono un’altra scena decisamente impressionate, anche perché ci riporta indietro di cent’anni, a quanto avveniva in Europa durante la Prima Guerra Mondiale. Abbiamo ancora oggi, a cent’anni di distanza dalla Prima Guerra Mondiale, le trincee in cui i giovani, giorno dopo giorno, bruciano le loro esistenze e rischiano la morte. E tutto questo è una guerra davvero dimenticata!
D. – E in questa situazione, in Armenia sta per andare Papa Francesco…
R. – Sì, sta per andare Papa Francesco e questa è una delle poche buone notizie. Ho parlato con un vescovo, ho incontrato vari membri della società civile, il primo ministro: tutti loro mi hanno parlato della visita del Papa come di un segno di grande speranza per questo conflitto. Un conflitto fra una popolazione cristiana, quella armena, che è addirittura il primo popolo nella storia ad aver abbracciato il cristianesimo, e una popolazione musulmana, quella dell’Azerbaigian. Ebbene, fino ad oggi, la questione religiosa non ha pesato molto e speriamo che anzi, in futuro, la religione possa essere anche un elemento positivo per la sua risoluzione. Spero che il viaggio del Papa possa essere un segno di pace.
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