Il contenuto delle analisi della Gendarmeria sui dispositivi di mons. Vallejo sono stati al centro della quattordicesima udienza in Vaticano, nel processo per appropriazione e divulgazione illecita di documenti riservati. Quattro i testimoni ascoltati. Assenti anche oggi i due giornalisti Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, presenti invece gli altri imputati: mons. Ángel Lucio Vallejo Balda, tutt’ora in stato di detenzione in Vaticano, Francesca Immacolata Chaouqui e Nicola Maio. L’udienza è stata sospesa alle 19.30 e riprenderà domani alle 11.00. Massimiliano Menichetti:
E’ il lavoro della Gendarmeria vaticana che oggi ha catturato l’attenzione della stampa italiana ed internazionale. Attraverso l’esposizione dell'ingegner Gianluca Gauzzi Broccoletti, Vice Commissario del Corpo, sono state ricostruite le comunicazioni tra gli imputati e i sistemi informatici utilizzati in Cosea, la Commissione che valutava gli enti dello Stato e della Santa Sede. Gauzzi, sollecitato dal promotore di Giustizia, ha spiegato che sono stati analizzati i dispositivi sequestrati a mons. Vallejo, ovvero due telefonini ed un Pc e grazie a questo studio sono emerse una serie di informazioni, date, email e messaggi.
Pressioni e WhatsApp
Ha precisato che il Segretario di Cosea, nel luglio
2013, si rivolse a Corrado Lanino, marito della Chaouqui,
per la “grande infrastruttura tecnologica” necessaria a gestire “la documentazione
che si sarebbe prodotta durante i lavori della Commissione". “Da subito ci furono
delle supposte pressioni in quanto, in alcuni messaggi, la dott.ssa Chaouqui invitava
mons. Vallejo ad usare WhatsApp” perché credevano fosse un sistema di messaggistica
“sicuro e non intercettabile”.
Il server da 110mila euro
“Furono spesi 110mila euro per un sistema con un server
che doveva essere usato come contenitore di tutta la documentazione prodotta da Cosea”.
Nel frattempo, presso la Domus Australiana, vicino alla Stazione Termini, si tenevano
degli incontri dove il cardinale George Pell fu “informato che persone con abiti scuri
li stavano spiando”. "Questo – ha aggiunto – fu uno dei motivi che indusse ad ubicare
il server presso la caserma della Guardia Svizzera”. “Cosa assolutamente anomala”
poiché all’interno dello Stato sono presenti “uffici in grado di offrire questo tipo
di servizi”, garantendo la massima sicurezza. Gauzzi ha precisato anche che da luglio
2013 fino a settembre 2014, ovvero quando la Segreteria dell’Economia con a capo il
cardinale Pell lo utilizzò, “nessun Superiore - né dello Stato Città del Vaticano,
né della Santa Sede- conosceva la collocazione del server”.
I telefonini con scheda di Malta
Corrado Lanino, Francesca Immacolata Chaouqui e mons.
Ángel Lucio Vallejo Balda avevano acquistato anche dei telefonini, con scheda di
un operatore maltese, “perché credevano di essere spiati”.
L’informatica di Cosea
A questo punto il Vice Commissario ha mostrato l’architettura
operativa di Cosea, che era divisa, per studio e analisi, in sottogruppi operativi:
"Ior, Apsa..." Ogni sottogruppo lavorava file che nella maggior parte dei casi era
protetto da password. I documenti venivano poi inviati tutti alla casella di posta
elettronica di mons. Vallejo.
Il telefono bianco
Il sistema di password pensato da Lanino prevedeva
un cosiddetto “telefono bianco”, ubicato nella sede di Cosea in Casa Santa Marta,
il quale riceveva le chiavi per accedere ai documenti e le ritrasmetteva ad una “nuvola
informatica” che consentiva a tutti di averle. In sostanza tutti possedevano le password,
ma ogni gruppo aveva solo i propri documenti lavorati. L’unico a possedere chiavi
e documenti era mons. Vallejo. “Lanino aveva comunque tutte le chiavi” - ha precisato
Gauzzi - ricordando che lo stesso Segretario di Cosea chiese una volta sia a Chaouqui
sia al marito della donna una password. Lei rispose che “non la ricordava e che doveva
chiedere al marito”.
Le 85 password di Nuzzi
L’analista del Corpo della Gendarmeria si è poi riferito
alle 85 password inviate a Nuzzi
spiegando che “sono state trasmesse in tre modi”: vennero inviate via WhatsApp a Nuzzi e Chaouqui; mons.
Vallejo le ricevette via mail dal membro spagnolo della Cosea "Enrique LIano e le
rigirò a sua volta alla Chaouqui”.
Nuzzi e Vallejo
Nuzzi poteva aprire tutti i documenti nella mailbox
del Segretario avendo le chiavi di accesso. Il teste ha poi citato pagine e relativi
documenti pubblicati in “Via Crucis”, spiegando che questi, in base all’analisi dei
dati fatta dalla Gendarmeria, avevano origini diverse. Alcuni inviati da mons. Vallejo
via WhatsApp, altri via mail o prelevati nella casella posta elettronica del Segretario
direttamente dal giornalista. Altri ancora, come nel caso di un documento su lavori
in Via Laurentina, risultano pubblicati, ma né prelevati né inviati. Gauzzi ha evidenziato
però che il 17 luglio 2015, ci fu uno scambio via WhatsApp tra Nuzzi e il prelato
in cui il giornalista domandò: "E qualcosa su via Laurentina?". Lui rispose: "Di quello
sì, lo cerco". E Nuzzi: "Grazie". La mattina dopo, Nuzzi chiese ancora: "Ciao, ti
ricordi per favore Laurentina?". E Vallejo: "Sì".
Fittipaldi e Chaouqui
Passando a Fittipaldi
il Vice Commissario ha detto che sul libro “Avarizia” risulta pubblicato materiale
sul patrimonio immobiliare vaticano. Ha spiegato che mons. Vallejo dalle 23.30 alle
23.59 circa del 1° luglio 2014 inviò “cinque email alla Chaouqui, con allegati documenti
su immobili della Santa Sede”. E che lei rispose, in sostanza, che tale documentazione
“era già in loro possesso” e che serviva “materiale di proprietà Apsa”. “Documenti
poi - ha aggiunto Gauzzi - pubblicati da Fittipaldi e non solo”.
#avantiilprossimo
Citati poi hashtag come #avantiilprossimo o #finchegliagnellidiventanoleoni
in comunicazioni inviate dalla Chaouqui, date ed email con articoli di Fittipaldi,
come quello sugli “investimenti immobiliari” del Vaticano, contenente i dati ricevuti
dalla Chaouqui in una email di luglio 2014.
Maledetti sogni
Il 22 ottobre 2014 Chaouqui da Torino scrive ancora
una email a mons. Vallejo e Nicola
Maio, parla di “maledetti sogni che qualcuno ha distrutto”, di “dolore”, e poi
ribadisce la convinzione di ritornare “più forti di prima, perché siamo quelli giusti”.
Il giorno dopo Maio risponde: “solo, stavolta scegliamo le persone giuste”. Ultima
mail citata quella del 26 febbraio 2015 nella quale la donna domanda quale sia “la
cosa più importante”, sostenendo che è “aver saputo rinunciare al momento giusto,
per rimanere liberi”. Poi precisa che “tutto scorre e forse una speranza c'è ancora”.
In allegato – spiega Gauzzi – c’è l'articolo, che poi uscirà sull'Espresso il 5 marzo
intitolato “Santa Romana spesa, dei peccati cardinali”, dove “sono riportate le cifre
degli incassi” del Vaticano nel 2012,“materiale in possesso delle persone citate”.
Il rilievo dell’avvocato di Chaouqui
L’avvocato di parte della Chaouqui ha comunque voluto
ribadire che non c'è traccia nel fascicolo in possesso degli avvocati della copiosa
documentazione che è stata prodotta in udienza dal Vice Commissario Gauzzi.
Fabio Schiaffi
Fabio Schiaffi all’epoca dei fatti addetto al protocollo
della Prefettura degli affari economici, ha spiegato che il suo compito era relativo
all’archivio ordinario dove, in base alla sua conoscenza, “non c’erano documenti Sub
Secreto Pontificio”, ma non ha escluso che tali atti “potessero trovarsi nell’archivio
storico o in quello riservato”.
La posta
“Tutta la posta in arrivo veniva protocollata, dopo
la presa visione dei superiori e in partenza dopo la firma”. I sacchi della posta
in arrivo “venivano aperti dal Capo Ufficio”. “La posta riservata veniva consegnata
a mano” e non passava per il protocollo ordinario. “Dei documenti in uscita non si
facevano scansioni”. Schiaffi non ha escluso che i documenti presenti in Prefettura
potessero trovarsi in tutto o in parte anche presso altri enti.
Clima lavorativo non sereno
Ha confermato “l’ingente attività di fotocopiatura
di alcuni documenti come quelli relativi alle Cause dei Santi”. Ha poi parlato di
un clima lavorativo “non sereno”. All’inizio con mons. Vallejo “ottimo” e poi sempre
più degradato dopo l’inizio dell’attività di Cosea. Schiaffi ha confermato che il
Segretario “aveva un atteggiamento fortemente critico e offensivo” nei confronti del
personale.
Mons. Abbondi e la signorina Pellegrino
Sugli scontri tra mons. Abbondi
e l’archivista, la signorina Pellegrino,
e la nota del prelato a carico della donna, ha precisato che la collega “è una delle
persone più professionali” che abbia “conosciuto nel mondo della Curia”, “una professionista
di grande precisione”. Ha spiegato che mons. Abbondi “chiedeva la consegna immediata
dei documenti, senza voler dare spiegazioni” e che questo creava attrito con l’archivista,
che in virtù del suo incarico “era molto meticolosa” e “attenta”. “Questa precisione,
che io chiamo professionalità - ha ribadito - poteva dare fastidio”.
Mons. Vallejo e signorina Pellegrino
Sulle tensioni tra la donna e mons. Vallejo ha aggiunto
che il “Segretario voleva risposte celeri, ma l’archivista dava priorità alla stretta
osservanza dei regolamenti”. Il protocollista ha negato che gli fosse stato chiesto
di porre “in essere azioni contro le regole d’ufficio” e spiegato che pur non essendo
previsto un registro dei documenti in uscita, “tenevamo in evidenza le cartelle che
contenevano tali fogli”, così da averne contezza.
Maio, Chaouqui, mons. Abbondi
Sollecitato dalle domande ha negato di conoscere Chaouqui
e confermato il “via vai” in Prefettura, anche per la presenza di consulenti esterni,
che “si fermavano spesso oltre l’orario di lavoro dei dipendenti dell’ufficio”. Di
Maio ha detto che “era quasi sempre nella sua stanza”, una volta che questa venne
allestita in Prefettura, e di non ricordare se partecipasse alle riunioni di Cosea.
Mons Abbondi a volte andava nella stanza del Segretario, sia per “la posta”, sia per
"risposte da dare”, poteva “esserci anche la Chaouqui”, ma Schiaffi nulla ha saputo
dire su eventuali conversazioni tra i tre.
Lucia Ercoli
Ascoltata oggi anche la dott.ssa Lucia Ercoli, medico
in Vaticano e presidente dell'associazione Medicina Solidale. La teste, citata dalla
difesa di Chaouqui, ha detto di aver conosciuto l’imputata “nell’autunno del 2014”
in relazione alla vicenda dell’immobile dei Padri Monfortani.
La donazione dei Padri Missionari Monfortani
In pratica era desiderio dei Missionari donare al
Papa, per iniziative di carità, in particolare per i migranti, un immobile sito in
via Prenestina. Tale struttura è vicino all’Istituto di Medicina Solidale che opera
a favore delle persone “socialmente svantaggiate ed escluse dall’assistenza sanitaria”.
La dott.ssa Ercoli, dopo essere stata sollecitata dai padri ed averli consigliati
di scrivere una lettera al Papa spiegando le loro intenzioni, ricevette una telefonata
dalla Chaouqui, la quale confermò che la missiva “era arrivata, che erano state fatte
delle verifiche e si poteva procedere ad un primo incontro per una valutazione”.
Sopralluoghi e ministro Lorenzin
“Vennero fatti due sopralluoghi”, ad uno c’era mons.
Vallejo. "La Chaouqui era rispettosa dell’autorità del monsignore” ha risposto sollecitata
sul punto. Una volta “ci fu anche la presenza del ministro Lorenzin”, contattata presumibilmente
“dalla Chaouqui o “dalla contessa Pinto Olori Del Poggio”, amica dell’imputata e “presidente
italiana” della fondazione benefica “Messaggeri della Pace”. La teste ha spiegato
anche che in seguito furono ricevuti al Ministero, con una delegazione guidata dal
padre gesuita Giovanni La Manna.
Stallo progetto Monfortani
“Il progetto con i Padri non andava da nessuna parte”,
ha spiegato Ercoli, perché i Missionari avrebbero voluto donare gli spazi, ma a patto
che si fossero pagati gli oneri come le imposte e la manutenzione dell’immobile, una
cifra di circa 100mila euro l’anno. La testimone ha confermato che “i rapporti con
Chaouqui proseguirono per cercare soluzioni alternative”, per concretizzare le “opere
caritative”.
Lavoro Cosea
Sollecitata dalle domande ha confermato anche che
sia l’imputata, sia mons. Vallejo “erano molto presi dalla loro attività lavorativa
presso la Santa Sede” e che tale carico “non permetteva di investire” energie “nelle
attività di caritativa”. Questo veniva detto – spiega Ercoli - “come a giustificare
l’impossibilità” di dar seguito “all’attività” di cui si era parlato. Nonostante “i
Monfortani ogni tanto si riproponevano”, non si arrivò ad una definizione. “Non ci
fu nessun giro di denaro”, ha concluso rispondendo alla domanda “se Chaouqui avesse
percepito dei compensi”. La dott.ssa Ercoli si è avvalsa della facoltà di non rispondere,
invocando il segreto professionale alla domanda dell’avvocato di mons. Vallejo se
il prelato fosse stato da lei “visitato per problemi di ipertensione e tachicardia”.
Mons. Vittorio Trani
Chiamato dalla difesa Chaouqui anche mons. Vittorio
Trani, cappellano del carcere di Regina Coeli, il quale ha confermato la disponibilità
profusa dalla Chaouqui in azioni benemerite. Il teste incontrò l’imputata “il 24 giugno
del 2015” perché la donna “voleva conoscere l’ambiente del carcere e le attività caritative
sia interne, sia esterne, come in quella in via della Lungara", dove il cappellano
ha dato vita ad un centro che consente a “venti persone bisognose di poter dormire
e mangiare”.
L’ambulatorio per i poveri
“Ci siamo visti con lei e con la dott.ssa Ercoli -
ha riferito - in vista dell’Anno Giubilare e ci siamo chiesti se potevamo aprire un
ambulatorio per i poveri”. Mons. Trani ha poi spiegato che un ricovero in ospedale
lo costrinse ad allontanarsi e una volta tornato, ebbe la spiacevole “notizia di una
notifica del Municipio”, che ingiungeva “il rilascio dei locali”. “La Chaouqui insieme
ad altri si adoperò per una dilazione” e “ad oggi l’ambulatorio è attivo ogni sabato”.
Mons. Trani ha voluto anche sottolineare che l’imputata si è prodigata per un pranzo
per i carcerati, che poi "non si fece per problemi interni" e per l’acquisto di palloni
da calcio necessari per poter praticare "l’unico sport possibile a Regina Coeli".
Tutto ha ribadito a titolo gratuito.
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