2016-05-14 13:45:00

Migranti: situazione drammatica al campo profughi di Idomeni


Secondo i dati di Frontex gli arrivi di migranti in Italia nell’ultimo periodo hanno superato quelli in Grecia, dove, però, resta critica la situazione nei campi profughi. È stata annunciata per fine maggio la chiusura di quello di Idomeni, al confine con la Macedonia, dove sono bloccate migliaia di persone dopo che questa ha chiuso le frontiere il 21 febbraio scorso. Per una testimonianza sulla vita in quella che il ministro dell’Interno greco ha definito “la Dachau dei nostri giorni”, Roberta Barbi ha raggiunto telefonicamente a Idomeni il giornalista della Rai, Massimo Veneziani:

R. – L’impressione è quella di una zona in costante emergenza igienico-sanitaria.  È  un campo molto vasto dove ci sono quattromila bambini che più che altro hanno bisogno di svago, perché la vera difficoltà di questa zona è affrontare la vita quotidiana. C’è gente che si trova qui ormai da mesi che non si trova in una reale emergenza legata ai vestiti o alle scarpe, come si potrebbe immaginare in un campo profughi, ma che ha bisogno del quotidiano, quindi cose per lavarsi, pannolini, docce, creme, tutto ciò che permette di affrontare la vita quotidiana nel modo più dignitoso!

D. – Da quando la Macedonia ha chiuso le frontiere, il 21 febbraio scorso, a Idomeni sono arrivate tra le dieci e le 12 mila persone. Come vivono nel campo?

R. – Ci sono le storie più varie. La cosa particolare di questo campo è che, come ogni piccola città, è composto socialmente anche in modo differente: c’è il sottoproletariato urbano di Aleppo e Damasco, così come c’è la piccola borghesia a dimostrazione del fatto che le situazioni di emergenza, le situazioni di guerra e il bombardamento coinvolgono tutta la popolazione, per cui si può incontrare il muratore curdo siriano e l’arabo che è proprietario di un negozio di make up femminile che ha deciso di portare la propria famiglia in Europa perché due dei loro quattro figli sono già in Germania e quindi cercano di ricongiungersi e di fuggire dalla guerra. Ci sono persone che non hanno più una casa, che hanno rischiato la vita; è frequente vedere persone che ti mostrano attraverso i loro cellulari le foto che vengono mandate dai loro parenti che sono ancora ad Aleppo.

D. - Il 40 per cento dei profughi a Idomeni è composto da minori non accompagnati. Qualche giorno fa è scoppiato lo scandalo di abusi su alcuni minori siriani in un campo profughi in Turchia. Quali sono i pericoli cui i bambini vanno incontro in un posto come questo?

R. - La percezione è che questo sia un campo ormai talmente istituzionalizzato, che fa parte di un Paese membro di realtà internazionali molto consolidate. La presenza dei cooperanti internazionali è molto solida, numerosa e ramificata e questo fa si' che i livelli di controllo siano piuttosto alti; i bambini non corrono dei rischi particolarmente grandi, se non - appunto - quelle che possono essere le "malattie normali" che si possono sviluppare in una situazione di questo tipo. I bambini hanno anche altre tutele: si tenta di organizzare una scuola, ci sono famiglie curde con le quali noi abbiamo parlato che raccontano che se si mette una penna in mano ai propri figli questi non sono in grado di scrivere, non sono in grado di leggere …

D. - Ci sono rischi concreti per la salute?

R. - È una situazione abbastanza critica perché molti di loro preferiscono non ricevere l’aiuto in cibo da parte delle organizzazioni internazionali, preferiscono evitare di fare le file, preferiscono cucinarsi i cibi che loro stessi comprano o che vengono donate da alcune organizzazioni internazionali e questo comporta bruciare la legna, che comunque viene distribuita, ma bruciare un po’ tutto quello che si trova intorno. Capita molto spesso che queste persone, che sono di un’accoglienza straordinaria, ti invitino a prendere un thè o un caffè e la teiera venga posata sul fuoco dove sta bruciando una scarpa da ginnastica. Questo significa ovviamente che la qualità dell’aria non è delle migliori; il livello di diossina è comprensibilmente superiore ai livelli accettabili.

D. - Più volte è stata annunciata la chiusura del campo di Idomeni. Ora sembra che questa possibilità si stia concretizzando per fine maggio. Che fine faranno tutte queste persone?

R. - L’obiettivo del governo è ovviamente quello di spostarli all’interno dei campi militari. Il problema che deve affrontare il governo greco è duplice perché non solo si trova davanti un’emergenza umanitaria da affrontare in una condizione economica che - come tutti sanno - è una delle peggiori della storia della Grecia, ma il grande problema che il governo deve affrontare è il fatto che questa stazione è una delle principali stazioni di passaggio di tutti i treni che trasportano merci e persone verso i Balcani. Questo ha costretto il governo greco a deviare tutte le linee che passano da Idomeni verso altre linee ferroviarie, quindi l’obiettivo è innanzi tutto quello di liberare i binari e provare a spostare le persone per far ripartire la vita nella stazione.

D. - Come immaginano il proprio futuro queste persone?

R. - Dicono che vogliono andare in Europa perché lì – cito testualmente le parole di Bava, un muratore siriano che in questo momento sta dando una mano ai cooperanti internazionali a costruire le tende e le baracche – “amano le persone, in Europa ci accolgono, in Europa c’è la civiltà. Non c’è la guerra, non ci sono case bombardate, bombardate, bombardate”.








All the contents on this site are copyrighted ©.