2016-05-14 14:18:00

Commercio equo e solidale: cresce il fatturato in Italia


E' stato pubblicato il rapporto per il 2016 da “Equo Garantito”, l’associazione di categoria delle organizzazioni italiane di commercio equo e solidale, in occasione della Giornata mondiale dedicata a questo tipo di attività. Nel 2015 il fatturato complessivo delle aziende italiane è stato di oltre 150 milioni di Euro. Sul senso del commercio equo e solidale, soprattutto in un periodo di crisi economica, Daniele Gargagliano ha intervistato Giovanni Paganuzzi, presidente di “Equo Garantito”:

R. – Il commercio equo e solidale è una forma di cooperazione allo sviluppo. E’ una attività attraverso la quale si vuole accompagnare, nell’accesso al mercato, i piccoli produttori marginali attraverso delle prassi contrattuali che sono connotate in maniera molto precisa, che devono – in particolare – prevedere accordi di lunga durata, il pagamento di un prezzo equo, misure a carico dell’acquirente e quindi delle organizzazioni di commercio equo, che portino ad una implementazione e ad uno sviluppo dell’impresa del piccolo produttore; e misure che consentano una ricaduta positiva sulla comunità locale in cui opera il piccolo produttore.

D. – Quale valore ha, in questo periodo di crisi economica, il commercio equo e solidale?

R. – Nei momenti di crisi, i soggetti più deboli sono quelli che pagano più di tutti e che vengono eliminati dai circuiti. Il soggetto debole è il segno dell’inefficienza del sistema e quindi viene tagliato… Il commercio equo fa esattamente l’opposto: si prende cura del soggetto debole e lo accompagna, finché non è in grado di camminare con le sue gambe. Mentre in origine il commercio equo è nato come forma di cooperazione allo sviluppo con produttori dei Paesi del Sud del mondo, in questo momento di crisi il modello del commercio equo comincia ad essere percepito anche dai produttori locali italiani come un modello e un’occasione per uscire dalla crisi. E questo perché crea delle sinergie molto forti, delle forme di cooperazione innovative che consentono di superare quella logica del dominio del più forte sul più debole.

D. – Papa Francesco ha fatto spesso riferimento alla cultura dello scarto per quanto riguarda la mancanza di attenzione verso il valore della vita e delle persone escluse dalla società, ma anche in relazione all’alimentazione e quindi alle ingenti quantità di cibo che nelle nostre città vengono gettate nella spazzatura, mentre nei Paesi in via di sviluppo si muore di fame e di malnutrizione…

R. – Il problema è del modo in cui noi consumiamo e c’entra anche con il commercio equo. L’educazione del consumatore a ciò che consuma e a come lo consuma e quali siano le conseguenze del suo gesto di consumo. Quando noi consumiamo un bene, in realtà noi facciamo una scelta anche sul quel bene: lo acquisiamo, lo "votiamo" sul mercato, dando un consenso e un voto positivo a chi ce lo ha portato sulla tavola. E’ certo che se quel prodotto è frutto di una catena di produzione iniqua, noi incentiviamo a continuare a produrre in quel modo.

D. - Quanto è importante oggi ricordare il dovere delle imprese nel garantire ai loro impiegati condizioni di lavoro dignitose, ma anche di vigilare contro qualsiasi forma di sfruttamento, come ad esempio il traffico di esseri umani?

R – Finché il lucro resta l’unico criterio e l’unico fine istituzionalmente riconosciuto al soggetto produttivo, questa cosa diventa difficile, perché la persona resta comunque uno strumento e non il fine ultimo. Con altrettanta chiarezza vanno, però, individuati strumenti che equilibrino questa assoluta prevalenza e peso nel nostro ordinamento.

D. – Il disegno di legge approvato solo alla Camera dei Deputati mira a far riconoscere la funzione rilevante nel sostegno alla crescita economica e sociale dei Paesi in via di sviluppo. Il testo porterà risultati tangibili in questo senso?

R. – Penso proprio di sì, perché riconosce degli strumenti concreti con cui è possibile contaminare il mercato tradizionale con dei modi di fare attività di impresa diversi.

D. – Il fatturato italiano, per quanto riguarda le aziende che hanno aderito alla vostra organizzazione, ammonta ad oltre 75 milioni di Euro. Ma ci sono ancora dei margini di crescita?

R. – Ci sono margini di crescita e, in questo momento, i dati ci dicono che stiamo crescendo ulteriormente. Il valore della produzione del movimento del commercio equo in Italia è molto più rilevante ed è circa il doppio, perché alle organizzazioni di commercio equo iscritte vanno affiancate altrettante organizzazioni che invece non sono iscritte. Il giro d’affari è attorno ai 150 milioni di Euro ed è ancora un mercato in crescita, nonostante la crisi. 








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