Bisogna “costruire ponti piuttosto che muri” per prevenire che i giovani finiscano nel terrorismo. E’ il messaggio lanciato a nome della Santa Sede, dall’osservatore permanente presso le Nazioni Unite, l’arcivescovo Bernardito Auza, al dibattito svoltosi presso il Consiglio di Sicurezza. Cuore dell’incontro a New York, la lotta alle ideologie del terrorismo.
I leader religiosi devono delegittimare
la manipolazione della fede
Per il presule, per colpire il terrorismo alla radice,
bisogna prima di tutto combatterlo nei cuori e nelle menti di coloro che sono più
a rischio di reclutamento. La loro ideologia identifica i “nemici”, in modo che poi
possano essere attaccati ovunque si trovino, a Parigi come ad Aleppo. In primo luogo
bisogna, dunque, “contrastare le ideologie dei gruppi terroristici”, che si basano
su interpretazioni tendenziose: i leader religiosi devono delegittimare “la manipolazione
della fede e la distorsione di testi sacri come giustificazione per la violenza”.
Bisogna anche ricordare il ruolo di umanizzare e civilizzare proprio delle religioni,
come ha fatto la Quarta riunione del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso
e dell’Istituto Reale per gli studi interconfessionali di Amman, lo scorso 7 maggio.
Importante, poi, la Dichiarazione di Marrakech, che sollecita le istituzioni educative
musulmane a condurre una coraggiosa revisione dei programmi di studio.
Creare inclusione nella società
Bisogna poi affrontare le cause profonde di cui il
terrorismo si nutre: spesso i giovani che vi entrano provengono da povere famiglie
di immigrati, delusi dalla mancanza di integrazione. In questo caso spetta ai governi
impegnarsi per affrontare i problemi delle comunità più a rischio di reclutamento
per raggiungere una “soddisfacente integrazione sociale di quelle comunità”. Infine,
si deve intervenire anche sul fronte di Internet, perché alcuni gruppi terroristici
si sono distinti nel reclutamento tramite il web. Bisogna, quindi, costruire società
inclusive e contrastare il traffico di armi: in una parola ci vuole “dialogo piuttosto
che reciproco isolamento”. (A cura di Debora Donnini)
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