2016-05-10 15:11:00

Per la prima volta embrioni coltivati in vitro nei primi 13 giorni


Ha acceso il dibattito scientifico una ricerca condotta negli Stati Uniti e in Gran Bretagna che per la prima volta ha consentito la coltivazione "in vitro" dell’embrione nei primi 13 giorni di vita. Oltre a rappresentare un record, visto che finora non ci si era spinti oltre i 9 giorni, l’esperimento pone importanti interrogativi etici sul fronte della ricerca, del rapporto con il corpo materno e del riconoscimento giuridico dell’embrione. Paolo Ondarza:

Non era mai accaduto. I primi 13 giorni di vita umana prodotti in laboratorio, al di fuori cioè del corpo materno. E’ il risultato degli studi realizzati dalle Università Rockfeller di New York e di Cambridge. Si può parlare di rivoluzione in campo scientifico? Risponde Domenico Coviello, direttore del Laboratorio di genetica umana all’Ospedale Galliera di Genova:

 R. – Concordo sul fatto che sia una ricerca rivoluzionaria, per il fatto che non era mai stato possibile arrivare alla coltivazione fino al 13.mo giorno. Quello che viene riportato è la possibilità tecnica dell’embrione di riprodursi in queste giornate, senza usufruire dell’ambiente, quindi dell’annidamento nell’utero materno, ma completamente in un ambiente esterno.

D. – La stampa si è affrettata a concludere ciò che la ricerca non ha invece ancora dimostrato e cioè che nei primi giorni di vita non c’è dialogo con il corpo materno. Ma è così professore?

R. – Direi che questa, invece, sia una libera interpretazione della stampa, ma non uno dei dati che viene riportato. Un conto, quindi, è capire che lo sviluppo fisico delle cellule va avanti fino alla 13.ma giornata, ma questi dati non dimostrano che sia inutile il dialogo con la mamma, che invece avverrebbe nell’ambiente uterino. Noi non abbiamo nessuna dimostrazione delle conseguenze di questo mancato dialogo. Siamo assolutamente sicuri che ci sia un continuo scambio di informazioni genetiche fra l’ambiente materno e il feto e questo è dimostrato anche dalla presenza del dna fetale nel sangue materno circolante. Quindi ci sono tantissimi messaggi, molto piccoli, che sono in grado di passare le barriere della placenta o del tessuto, dove c’è lo scambio di nutrimento fra il feto che si sviluppa e la mamma, e tutti questi messaggi ci sono normalmente. Sicuramente, in questi 13 giorni l’assenza di un ambiente materno non ha impedito che le cellule si riproducessero, ma non sappiamo ancora – perché non abbiamo la visione della continuazione dello sviluppo – quali siano le mancanze che subirà il feto, senza il dialogo con la madre.

D. – Da un punto di vista etico, quali conseguenze ha questo esperimento? L’obiettivo ambizioso di creare artificialmente la vita umana è più alla portata?

R. – Dal punto di vista etico, sicuramente bisognerebbe dare un giudizio su questa volontà: provare a riprodurre l’organismo umano completamente al di fuori del corpo umano. Il fatto, però, che la maggior parte delle legislazioni non permettano di far andare avanti questo tipo di sperimentazione è perché non ci sono assolutamente garanzie sugli effetti dello sviluppo umano "in vitro", sul fatto che non ci siano danni.

D. – Qualora venissero a cadere i vincoli giuridici che a livello internazionale vietano la ricerca, la clonazione umana potrebbe andare avanti?

R. – Potrebbe andare avanti come è successo per Dolly, ma programmare degli individui che poi si ammalano, o presentano dei grossi difetti, è una sperimentazione talmente brutale che, a oggi, gli Stati non lo permettono.

Quali le considerazioni giuridiche da questa duplice ricerca scientifica? Carlo Casini, presidente onorario della Federazione Europea dei Movimenti per la Vita “Uno di noi”:

R. – Prima di tutto, affermo che è una buona notizia, perché dimostra che l’embrione fin dall’inizio del concepimento non è una parte del corpo materno, ma è una realtà, una entità che si sviluppa in modo autonomo. All’epoca del dibattito sull’aborto, uno degli argomenti a favore dell’aborto legale era appunto la mancanza di autonomia del concepito. Non è così, come dimostrano questi studi. Dal punto di vista giuridico, bisogna dire che la Corte costituzionale italiana ha stabilito il principio che l’embrione umano, fin dal concepimento – il concepito cioè – non è una cosa, non è un grumo di cellule, ma è dotato di una soggettività. Se è un essere umano è un essere umano sempre: se è così, va trattato come qualsiasi altro essere umano. Non può essere, quindi, sottoposto a sperimentazione, se non quando questa sia utile per lui stesso, non per gli altri. Le nuove ricerche quindi non cambiano nulla, quindi, ma anzi rafforzano, secondo me, questa visione giuridica: che l’embrione non è una cosa, non è un oggetto, ma – dice la Corte Costituzionale – è dotato di soggettività, cioè è un soggetto.








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