2016-05-08 08:00:00

Filippine, elezioni: favorito Duterte e la sua lotta alla criminalità


Sono aperte dalle prime ore del mattino le urne nelle Filippine. Gli elettori dovranno eleggere il nuovo presidente, e 18 mila rappresentanti a livello locale e nazionale. Oltre 45 mila i candidati. Le operazioni di voto si svolgono tra imponenti misure di sicurezza, durante la campagna elettorale infatti in cui si sono contati 15 morti. Valentina Onori ha sentito Francesco Montessoro, docente di storia dell’Asia all’Università di Milano

R. – Le elezioni in questo Paese si contraddistinguono per la forte presenza di relazioni di tipo clientelare. Non esistono, ad esempio, partiti di programma né schieramenti politici che siano visti in termini di contrapposizione e di alternativa e neppure esistono partiti che abbiano veramente un carattere ideologico. Potremmo pensare alle Filippine divise tra due schieramenti tradizionali, che sono comunque presenti: i liberali e i nazionalisti. In realtà, i candidati sono spesso intercambiabili: vi sono alleanze che sono alleanze familiari e vi sono alleanze dettate dalla popolarità, dalla capacità di raccogliere consensi in determinati contesti.

D. – Noi occidentali dobbiamo vedere la campagna elettorale e le elezioni presidenziali in quale ottica?

R. – In termini sostanziali, non vi sarà un cambiamento significativo e radicale: si alterneranno presidenti in grado di influenzare la politica nazionale, ma sempre mantenendo quelle caratteristiche personalistiche familiste della politica nazionale e sostanzialmente senza una vera capacità di incidere in termini, ad esempio, di riforma.

D. – Rodrigo Duterte, uno dei candidati alle elezioni presidenziali, che vorrebbe trasformare le Filippine in Paese federale, si dice sia il Trump delle Filippine…

R. – Duterte, sindaco di Davao City, nel Sud delle Filippine, si candida alle elezioni presidenziali, ma ha messo in chiaro che a sostituirlo come sindaco sarà la figlia Sara. Per cui il contesto è pur sempre un contesto estremamente filippino ed estremamente familista. Dai sondaggi preelettorali è considerato un possibile presidente. E’ un politico un po’ sopra le righe. Sì, è vero, è stato definito il Trump delle Filippine, anche se è curiosa questa definizione, da un certo punto di vista. E’ leader, infatti, di un partito che si presenterebbe come un partito di centro-sinistra. E’ un esponente politico che, non solo parla chiaro, come tutti i populisti, ma è un esponente che dice: “La criminalità la risolveremo con le squadre della morte”. E dice: “La mia presidenza sarà sanguinaria: 100 mila criminali saranno giustiziati nelle strade e gettati nella baia di Manila”. E’ un politico con questo linguaggio inquietante e per certi aspetti un outsider, perché in realtà noi abbiamo altri candidati che rimangono più legati ad una visione per certi aspetti immobilista, ma rassicurante del clima politico. Il numero due è una donna, Grace Poe, figlia di colui che è stato un importante candidato alle elezioni presidenziali del 2004. Succede frequentemente, non solo nelle Filippine, ma in Asia, quando le donne sono in primo piano in ambito politico, lo sono in quanto esponenti di una cordata familiare importante. Vale, ad esempio, per un candidato alla vice-presidenza, che ha il nome imbarazzante di Marcos, il figlio del dittatore Ferdinand Marcos, che era stato deposto dalla rivolta di Corazón Aquino, nel 1986. Tutti hanno a che fare con una famiglia importante. La politica filippina conserva un po’ tutti, anche i personaggi più stravaganti e più imbarazzanti.

D. – In questo quadro non emergerebbe, ad eccezione di Duterte, nessuno che potrebbe portare avanti la lotta contro la corruzione…

R. – La battaglia contro la corruzione è un po’ una formula, una soluzione che poi non corrisponde veramente ad una capacità di trasformare effettivamente il sistema politico e istituzionale del Paese. I difetti, diciamo, resteranno in ogni caso. Il quadro rimane, per la verità, abbastanza incerto e il risultato definitivo si saprà nelle settimane successive.








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