In prefettura “si stava costruendo un archivio parallelo”. Così Paola Pellegrino ascoltata ieri nella undicesima udienza del processo in Vaticano per appropriazione e divulgazione illecita di documenti riservati. Oltre all’archivista della Prefettura degli Affari Economici, oggi impiegata presso l’Archivio Segreto, è stata anche interrogata la dott.ssa Paola Monaco, all’epoca dei fatti segretaria del cardinale presidente Giuseppe Versaldi. Presenti in aula gli imputati Francesca Immacolata Chaouqui, mons. Angel Lucio Vallejo Balda e Nicola Maio, assenti invece i due giornalisti Fittipaldi e Nuzzi. L’udienza, come conferma la nota della Sala Stampa Vaticana, è stata aggiornata al 7 maggio alle ore 9.30. Il servizio di Massimiliano Menichetti:
Un pomeriggio intenso in cui sono state raccolte due testimonianze, volute dall’Ufficio del Promotore di Giustizia che hanno ricostruito il difficile clima che si viveva nella Prefettura degli Affari Economici dopo l’inizio dei lavori di Cosea, la Commissione che doveva controllare gli enti vaticani.
Rapporti degradati
Sia la dott.ssa Paola Monaco, all’epoca dei fatti
impiegata nella segreteria di presidenza, sia la sig.na Paola Pellegrino, che era
responsabile dell’archivio della Prefettura, hanno descritto gli ottimi rapporti istaurati
da mons.
Vallejo Balda nel 2011, all’inizio del suo incarico. Rapporti poi degradati a
partire dal 2013, ovvero dall’inizio dell’attività Cosea, in critiche continue, mortificazioni,
scontri verbali violenti e accuse di incapacità.
Paola Monaco
“Per noi era difficile collaborare con serenità” ha
detto Paola Monaco, per altro segretaria di "tre Cardinali Prefetti". “I miei rapporti
con mons. Vallejo erano diventati piuttosto tesi” - ha ribadito - spiegando che “c’erano
stati scontri”. “Il cardinale Versaldi - ha aggiunto - “svolgeva una funzione di mediazione”
tra la realtà Cosea e il personale della Prefettura, che di fatto era all’oscuro delle
attività della Commissione.
Procedure anomale
Ha ribadito che nel dicastero, con il progredire di
Cosea, erano state abbandonate una serie di procedure, come l’identificazione delle
persone in visita agli uffici. “Oltre al personale interno”, in Prefettura c’erano
anche due tipi di “esterni”: i consulenti “di Kpmg e Mckinsey”, le società chiamate
da Cosea, e ospiti “di cui non conoscevamo l’identità”.
Chaouqui, Maio, Abbondi
Ha confermato di non aver avuto “mai rapporti diretti
con Chaouqui”,
anche se ha sostenuto che l’imputata “aveva un certo ascendente” sul segretario e
che “spesso” il prelato “era particolarmente nervoso dopo aver parlato al telefono”
con la sua collaboratrice. Sollecitata sulla figura di Nicola
Maio lo ha tratteggiato come un “assistente” più che “il segretario” di mons.
Vallejo, con un ruolo prevalentemente “esecutivo” e “piuttosto gentile”, che a volte
si “intratteneva in conversazioni” con i colleghi in Prefettura, oltre che “chiedere
chiarimenti” lavorativi. “Un ruolo di supporto” per il segretario di Cosea lo aveva
invece “mons. Abbondi”.
Mai sospettato furti di documenti
“Non ho mai sospettato o constatato la sottrazione
di documenti - ha affermato - anche se sarebbe potuto accadere”, in “questo clima
rilassato”, di “via vai” che “non condividevo”. Ha spiegato che, tranne due giorni
a settimana, nel pomeriggio in Prefettura non c’era il personale e quindi “si era
liberi di fare qualunque cosa”, “le stanze erano aperte”. E che ad un certo punto
il ragioniere
generale Fralleoni decise di chiudere la stanza “per ragioni di sicurezza”, “per
evitare un accesso incontrollato”. Comunque, “i documenti non venivano lasciati sulle
scrivanie”, quelli “riservati e di particolare interesse erano conservati in archivio”.
Il gruppo ristretto
Le testimoni, rispondendo alle domande dei promotori
e degli avvocati di parte, hanno tratteggiato, in linea con la deposizione del ragioniere
generale Fralleoni, una sorta di “gruppo ristretto” che si era strutturato all’interno
di Cosea, composto da mons. Vallejo, Chaouqui, Maio e mons. Abbondi. “Era un gruppo
coeso - ha detto Monaco - con una certa intesa”, che “si riuniva a porte chiuse nella
stanza di mons. Vallejo”.
Nessun rancore
“Non nutrivamo malanimo o rancori, ma scetticismo,
disagio” nei confronti di questo gruppo e “desideravamo” che lavorasse in maniera
conforme alla correttezza degli ambienti di “Curia”. La teste ha spiegato che “Cosea
era stata certamente una novità”, ma che la Prefettura era abituata a lavorare con
personale esterno internazionale e che mai si erano verificate tali tensioni o anomalie.
Azioni complottistiche
Visto il lavoro d’indagine di Cosea “le porte chiuse”
nelle riunioni “per tutelare la riservatezza, erano di per sé legittime - ha incalzato
- ma il contesto faceva pensare ad azioni complottistiche”.
Gli scontri con mons. Vallejo
Sollecitata dalle domande è più volte tornata sui
difficili rapporti con il segretario, ha raccontato dei “frequenti scontri” e un episodio
in cui a causa di un ritardo al lavoro, dovuto al traffico, il prelato le avrebbe
detto “che per comportamenti come questo, in Spagna sarebbe stata licenziata”. “All’inizio
c’erano rapporti sereni” - ha ricordato - con condivisioni, ma poi tutto è cambiato.
“Nei suoi confronti - ha proseguito - avevo una mancanza di stima, ad un certo punto
quasi indifferenza”. Più volte ha parlato di “aggressioni” atteggiamenti denigratori
da parte di mons. Vallejo e che “avendo sempre avuto elogi scritti e verbali”, decise
di scrivere al “Papa una lettera” spiegando cosa stesse succedendo.
Paola Pellegrino
Sulla stessa linea la testimonianza dell’archivista
Paola Pellegrino, la quale pur asserendo, come Paola Monaco, che Chaouqui aveva un
“ascendente” su mons. Vallejo, ha però attribuito a quest’ultimo un ruolo primario
nel “gruppo ristretto”. Pellegrino ha raccontato di ripetute aggressioni da parte
del prelato a partire da gennaio 2013 e di aver anche lei scritto al Santo Padre nell’aprile
2014, allegando tutta una serie di atti.
L’ampolla con i pesci rossi
La teste ha raccontato anche che alla fine del lavoro
di Cosea, Chaouqui fece “un dono singolare a mons. Vallejo”: un’ampolla di vetro con
dentro dei pesci rossi. “Sembrava un monito a non parlare” ha detto, aggiungendo che
nei primi mesi del 2015, il segretario dispose che le telefonate della donna non fossero
raccolte e che le fosse impedito di entrare in Vaticano.
L’Archivio della Prefettura
Ha spiegato che nell’Archivio della Prefettura sono
contenuti importanti documenti, anche risalenti al 1967 e sotto segreto. E che mons.
Vallejo mostrò quasi da subito “un interesse indagatore” per quelli relativi alle
“Cause dei Santi e Basiliche Papali”. L’archivista ha confermato che non esisteva
un registro, ma che comunque veniva tenuta traccia dei documenti prelevati con delle
annotazioni. Ha poi spiegato che già mons. Abbondi aveva avviato una prassi “anomala”,
segnalata al ragioniere generale nel 2011, grazie alla quale i documenti venivano
chiesti anche al suo collaboratore, Fabio Schiaffi. E “con il lavoro di Cosea, le
richieste di mons. Vallejo aumentano progressivamente”.
Un fatto increscioso
Pellegrino ha quindi raccontato un fatto che ha definito
“increscioso” che da quel momento generò “avversione” nei suoi confronti. Un giorno,
nel dicembre 2013, si era "allontanata per ragioni di servizio” e mons. Vallejo cercava
i documenti Ior degli estratti conto relativi a tutti i dicasteri vaticani e amministrazioni
della Santa Sede. Tali plichi erano conservati in un armadio di cui sia lei sia Fralleoni
avevano la chiave, ma mons. Vallejo “si adirò moltissimo”, per la sua assenza e “da
quel momento iniziò a prendere in modo arbitrario i documenti”.
Fotocopiatura frenetica
La teste ha ricordato distintamente “un’attività frenetica
di fotocopiatura dall’inizio 2015 a luglio 2015” da parte di un usciere incaricato
da “mons. Abondi e mons. Vallejo”. “Documenti poi rivisti nei libri di Nuzzi e Fittipaldi,
in particolare quelli relativi alle Cause dei Santi”. In quel momento Pellegrino si
domandò il perché “si stesse creando un archivio parallelo” e ricordandosi “della
vicenda di Paolo Gabriele”, “temendo” che lei e il suo assistente “potessero essere
ritenuti responsabili” di fatti illeciti, decise di scrivere due note, una a maggio
e l’altra ad agosto, controfirmate dal ragioniere generale, Fralleoni e dal collaboratore
Schiaffi.
La terza nota
Le due lettere “vennero sistemate nell’archivio in
una posizione non immediatamente individuabile”. Nel settembre 2015 l’archivista annota
un altro fatto “increscioso”, ovvero che il segretario “si vantò di essere in grado
di saper trovare e prelevare ogni documento in archivio autonomamente”. E lei, non
ritenendosi "più in grado di custodire i documenti”, scrisse una terza nota nel novembre
2015. L’interrogata non ha saputo confermare se la Chaouqui prelevò dei documenti.
Ha però detto di aver avuto l’impressione che le fotocopie trovate nell’ufficio di
mons. Vallejo, nel secondo sequestro, fossero poche rispetto al numero di scatoloni
da lui ordinati nel periodo precedente.
I rimproveri pubblici e il timbro "sub
secreto"
L’attenzione è poi tornata al clima lavorativo fatto
di “rimproveri” da parte del prelato anche “davanti a persone estranee”, “pubblicamente”.
Sul “gruppo ristretto” ha parlato anche “della presenza” per un certo periodo di “un
tedesco ed uno svizzero” e poi di Maio. Pellegrino ha riferito anche di un timbro
in suo possesso con la scritta “sub secreto”, che le sarebbe stato chiesto da Nicola
Maio e che poi sarebbe stato trovato nell’ufficio di mons. Vallejo insieme ad altri
timbri “mai visti prima come forma” e “mai usati in Prefettura”. La teste ha ricordato
di aver visto quel sigillo consegnato a Maio in un documento pubblicato sul libro
di Nuzzi, ma che “l’originale era senza timbrature”. L’avvocato del giornalista ha
quindi fatto notare che il timbro riportato in “Via Crucis” fosse: “Sub secreto pontificio”
e non “Sub secreto”. Pellegrino ammettendo di non ricordare bene si è detta comunque
certa “che il documento originale non riportasse timbrature”.
Andamento fuori da ogni logica lavorativa
Ha quindi detto che in “Prefettura c’era un andamento
fuori da ogni logica lavorativa”. Che mons. Abbondi e mons. Vallejo parlavano sistematicamente
in disparte “su un terrazzo”, che l’attività del “gruppo ristretto” continuò anche
oltre la fine di Cosea nel luglio 2014. Ha ricordato ancora una volta che “Maio a
fine 2014 aveva cessato l’attività”, che “il dott. De Mattheis”, officiale della Prefettura,
“nell’autunno 2014 mise a posto i conti” e che “nei primi mesi del 2015 Chaouqui non
c’era più”, e che “comunque mons. Abbondi e mons. Vallejo continuavano a vedersi”.
La cartella “Nunzi”
La Teste ha parlato anche di una cartella di rete
nominata "Nunzi”, misteriosamente “scomparsa dai computer”, di aver segnalato l’accaduto
e di aver avuto rassicurazioni dal segretario che “sarebbero stati presi provvedimenti”,
ma non fu così. “Il personale - ha spiegato - aveva l’impressione" che qualcuno avesse
violato il sistema.
Le buste delle password aperte
Ha anche aggiunto che le loro “password personali
dei computer erano state messe in busta sigillata e consegnate” dal dott. Menotti
a mons. Vallejo, “buste che furono trovate aperte nel secondo sequestro” effettuato
dalla Gendarmeria nell’ufficio del monsignore. Il personale sospettava anche che “ci
fossero delle microspie”. E ha raccontato di una volta in cui “Chaouqui, salendo su
una scala nello studio di mons. Vallejo”, avrebbe “controllato una scatola elettrica”.
Mobbing
Pellegrino, sollecitata sul punto, ha spiegato di
aver subito mobbing negli anni precedenti ai fatti del processo e di aver segnalato
questo al cardinale De Paolis e ha ricordato anche un contrasto avuto con mons. Abbondi
poi segnalato all’Ulsa e al Santo Padre.
La richiesta Chaouqui
Verso la fine dell’interrogatorio Francesca Immacolata
Chaouqui ha chiesto ed ottenuto dal presidente del Tribunale di potersi allontanare
dall’aula, con la “preghiera di udienze più contenute nei tempi” a causa della gravidanza.
L’imputata ha ribadito il desiderio di voler essere presente alle udienze pur non
essendone obbligata.
Istanza rigettata
Il Tribunale ha infine rigettato l’istanza, formulata
la scorsa udienza, dell’avvocato di Nicola Maio in merito all’acquisizione del tesserino
di accesso dello stesso e dei verbali di Cosea, “non ritenendoli prova influente”
e significativa.
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