Preoccupazione della Cei per la mancanza di lavoro. La Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, nel messaggio in occasione del 1 maggio, denuncia che la "scarsità" di lavoro "porta sempre più persone, impaurite dalla prospettiva di perderlo o di non trovarlo, a condividere l'idea che nulla sia più come è stato finora: dignità, diritti, salute finiscono così in secondo piano. Si tratta di una deriva preoccupante messa in moto dal perdurare di una crisi economica stabilmente severa, da una disoccupazione che tocca diversi segmenti anagrafici e demografici (i giovani, le donne e gli ultracinquantenni), e da un cambiamento tecnologico che da più parti viene definito in termini di 'quarta rivoluzione industriale'".
Si' a imprenditori responsabili
Per la Cei, quindi, "rispetto a questa situazione
non sfugge la pertinenza del richiamo alla
responsabilità degli imprenditori formulata
nell'Evangelii gaudium , e ripresa nel messaggio del Pontefice al Forum economico mondiale di Davos ; tuttavia, si possono prefigurare responsabilità più ampie e diffuse. A ben vedere,
infatti anche i lavoratori hanno una responsabilità
con la quale fare i conti: il lavoro, che ci
sia o meno, tracima e invade le vite delle persone, appiattisce il senso dell'esistenza, così che chi non aderisce a questa logica viene scartato, rifiutato, espulso. Ecco la responsabilità che tutti ci troviamo a condividere: l'incapacità
di fermarci e tendere la mano a chi è rimasto
indietro".
Il ruolo della scuola
Importantissima è la scuola. Per i vescovi, "la dimensione educativa del lavoro va ritrovata anche all’interno
delle istituzioni formative, facendo in modo che scuola e lavoro siano due esperienze
che si intrecciano e interagiscono: i giovani devono poter fare esperienze professionali
il prima possibile, così da non trovarsi impreparati una volta terminati gli studi".
Dunque, "l’alternanza scuola-lavoro, così come
è stata di recente riformata, rappresenta una leva fondamentale poiché permette a
un numero sempre più ampio di giovani di capire quali sono le competenze e le capacità
richieste dal mercato del lavoro. Inoltre, non bisogna dimenticare che questo genere
di esperienze possono favorire anche lo sviluppo di una propensione all’auto-impiego".
No alla fuga dei cervelli
Il Paese, in fondo, ha le potenzialità per emergere.
Nel documento si dice che "l’Italia non può
continuare a sprecare l’intelligenza, il talento e la creatività dei suoi giovani,
che emigrano nella speranza di essere accolti altrove. Occorre creare per loro spazi
di sperimentazione, dove lasciare libera espressione alla creatività e all’intraprendenza:
ci sono tanti piccoli, ma significativi segnali che mostrano quanto la collaborazione,
la partecipazione e la solidarietà possano essere gli ingredienti di base per ricette
imprenditoriali nuove, esperienze che rompono con la «globalizzazione del paradigma
tecnocratico»[1], senza per questo essere improduttive o economicamente fallimentari".
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