2016-04-15 14:44:00

Mons. Al Quas: in Iraq vogliamo ricostruire il futuro in pace


La crisi politica irachena rischia di ostacolare la lotta al sedicente Stato islamico. A lanciare  l'avvertimento è il primo ministro iracheno, Haider al-Abadi, dopo la mancata presentazione della proposta di rimpasto di  governo. L’obiettivo infatti è quello di creare un esecutivo tecnico nell'ottica della lotta alla forte corruzione diffusa nel Paese. Intanto, sono decine di migliaia i cristiani costretti a scappare ogni giorno. Proprio per non dimenticare le loro sofferenze, Aiuto alla Chiesa che soffre Onlus, ha organizzato oggi a Roma una conferenza stampa con  monsignor Rabban al Quas, arcivescovo Caldeo nel Kurdistan iracheno.  Ascoltiamo la sua testimonianza raccolta da Marina Tomarro:

R. – La situazione non riguarda solo i cristiani, ma tutte le persone che vivono nel Kurdistan e in Iraq. Abbiamo perduto molta gente, a Baghdad ci sono meno di 20 mila persone… C’è il Patriarca, c’è una Chiesa, ma non c’è un governo a Baghdad perché la maggioranza degli arabi, musulmani e degli altri che non volevano stare nelle fila del sedicente Stato islamico sono venuti a Duhok. Il governo di Baghdad vive in questa situazione… E non c’è denaro, perché è stato rubato. Nel Kurdistan c’è una guerra in corso con l’Is e abbiamo già perso 100 mila persone, dei martiri...

D. – Tanti sono anche i cristiani che sono stati costretti a fuggire dal suo Paese e a chiedere rifugio in Europa…

R. – Sì, e questo continua, perché ci sono più di 50 mila persone ancora in Turchia, in Libano e in Giordania, mentre altri ancora aspettano di partire. Queste persone poi vorranno tornare, ma non sanno quando ciò potrà avvenire: non è facile per loro tornare, dato che non hanno più una casa, non hanno più niente… Tutto è stato distrutto. Ogni giorno, l’Is tenta di entrare in Kurdistan: c’è una guerra in atto, ma la situazione non è la stessa di prima. Nel nostro Paese, il Kurdistan, noi vivevamo in pace e ora invece abbiamo veramente perduto la nostra storia, le nostre chiese, i nostri libri… Questa non è una guerra che si conduce per uccidere ma per cambiare la mentalità e a questo scopo utilizzano la religione musulmana.

D. – Eccellenza, la comunità internazionale cosa potrebbe fare di più per poter aiutare il suo popolo, secondo lei?

R. – La comunità internazionale non deve soltanto aiutarci fornendo cibo. Noi dobbiamo fare la pace e costruire il futuro di questa regione. Questa è la vita! E noi abbiamo perso ogni cosa! Non hanno lasciato niente: i monasteri… E io posso dire che in Kurdistan ci sono i musulmani, ma non sono fanatici, non sono terroristi. Viviamo con loro come con dei fratelli: la loro religione è la loro religione e non fanno niente di male. Fanno male solo quando seguono le condizioni imposte da Baghdad. E invece noi vogliamo avere uno Stato civile come in Europa. Io sono cristiano, poi ci sono gli altri che sono musulmani, ma non c’è differenza tra di noi: siamo fratelli dell’umanità.








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