Il Papa ha ricevuto l’arcivescovo Ivan Jurkovič, nuovo osservatore permanente della Santa Sede presso l'Ufficio Onu di Ginevra. Tra i temi affrontati anche l'imminente viaggio di Francesco a Lesbo per esprimere la sua vicinanza a tanti profughi che fuggono dalle guerre in Medio Oriente. Alessandro Guarasci ha sentito lo stesso mons. Jurkovič:
R. – Lui mi ha detto alcune sue preoccupazioni che sono legate a questo mondo delle Nazioni Unite. Credo che la prima impressione del Papa fosse questa terribile sorpresa negli ultimi anni di avere la guerra così vicina e così vicine anche tutte le conseguenze della guerra. Dice che gli è venuta spontanea la decisione di fare qualcosa e che ha avuto subito un’accoglienza positiva anche da parte della Chiesa ortodossa greca. L’urgenza della situazione ci porta alla più stretta collaborazione e anche a vedute più simili. Il Papa mi ha detto, poi, che ciò che lo sorprende sempre di più sono queste dinamiche nello sviluppo dell’economia mondiale, che non producono lavoro. Si produce anche il bene, il bene nominale, anche grandi ricchezze, ma tanta gente rimane senza lavoro.
D. – Lei conosce bene l’Europa. Come vede in questo momento questo sorgere di muri anche all’interno dell’Europa? L’Austria per esempio ha detto: pensiamo anche di chiudere il valico del Brennero. C’è poca solidarietà all’interno dell’Europa in questo momento?
R. – Ogni argomento si può affrontare da due punti di vista. Uno è quello drammatico, categorico, anche simbolicamente duro, che evidentemente vediamo, che ci sorprende. Contemporaneamente, c’è anche la necessità di prenderci delle responsabilità. Chiudere o non chiudere, non saprei. Di fronte ad un’umanità che soffre, ci vuole una risposta organizzata e coordinata. In Europa è arrivato come uno stato di shock, come un vero shock culturale. Dobbiamo reagire ed aiutare a reagire, in modo tale da non creare questi paradigmi che ci porteranno tanta cattiva pubblicità in futuro. I problemi ci sono: alcuni si risolveranno e ad altri magari ci abitueremo, non so. Ci saranno certamente tempi più sereni di oggi. Potremmo dire una cosa: che non avremo ragione di vergognarci di quello che ha fatto la Chiesa oggi. Penso che saremo orgogliosi di avere reagito in maniera così categorica. Dalla Chiesa non ci si poteva aspettare un’altra reazione.
D. – Secondo lei, nelle organizzazioni internazionali, per esempio all’Onu, va riproposto il tema della libertà religiosa, della difesa dei cristiani, in molte aree del mondo?
R. – Con alcune cose, che sembrano di per sé chiare, che non avrebbero bisogno di nessun commento e che uno ha quasi vergogna di ripetere o di sottolineare, succede che proprio quelle si dimenticano. Sono travolte da altri pensieri, da altre preoccupazioni, qualche volta anche legittime. Se la libertà religiosa è un fondamento della vita della società, bisogna darsi da fare per dimostrarlo agli altri. Ed ogni generazione sembra faticare nel comprenderlo.
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