2016-04-13 14:49:00

Fermo, esplode una bomba davanti la chiesa di don Vinicio Albanesi


A Fermo, nelle Marche, la scorsa notte è esploso un ordigno di fronte al portone della chiesa di San Marco alla Paludi. Non ci sono stati feriti ma i danni al luogo sacro sono ingenti. Paura per i residenti svegliati nel cuore della notte dal boato. Si tratta del terzo attentato a una chiesa del Comune marchigiano nell’ultimo mese e mezzo. Sul filo che lega questi episodi, Daniele Gargagliano ha raccolto a caldo il commento di don Vinicio Albanesi, parroco della chiesa teatro dell’esplosione e presidente della Comunità di Capodarco:

R. – A Fermo, accade che noi stiamo intervenendo, abbastanza in rete e anche con efficacia, su una serie di problemi che riguardano da una parte gli spazi degradati, come per l’appunto la zona dei Tre Archi che è molto problematica, e dall’altra l’accoglienza degli immigrati. Tutti e tre siamo impegnati nell’opera della Caritas. Gli elementi che uniscono il nostro stare insieme, in questa serie di attentati, è l’impegno che abbiamo nei confronti di chi sta male, di chi è straniero, di chi ha bisogno.

D. – Sono atti vandalici o c’è un obiettivo preciso nel colpire le attività sociali della diocesi?

R. – Sono atti più che vandalici. Sono segnali evidenti di avvertimento. Sono delle vere e proprie bombe, fatte non con livelli di esplosivo raffinato, perché è polvere da sparo. ma sono vere bombe. Un tipo di avvertimento preciso per far male. Finora non alle persone, ma abbastanza significativi.

D. – Questi tre casi hanno un comun denominatore: la diocesi…

R. – Sono tutti e tre uguali, fatti usando lo stesso metodo, diversi solo per intensità. Due sono stati compiuti presso l’abitazione di due preti e l’altro, il terzo, presso la parrocchia, perché io non abito in parrocchia… Quindi, sono mirati e chi li fa conosce dove abitiamo, cosa facciamo e come ci muoviamo. Quest’ultimo particolarmente rischioso, perché lo hanno fatto al fianco della parrocchia dove c’è un centro sociale: appena chiuso il centro sociale, dopo solo 10 minuti, è esplosa questa bomba…

D. – Lei era lì al momento del boato?

R. – No. Mi hanno chiamato subito dopo…

D. – Sono state persone della parrocchia che l’hanno contatta? Erano spaventate?

R. – Sì, sì. Poi è venuto il 112 e il Ris da Ascoli. Mi hanno detto che il botto è stato proprio forte, tanto forte da far uscire le persone dalle case…

D. – Per fortuna, non ci sono stati feriti…

R. – Non ci sono stati feriti, perché evidentemente non volevano che ci fossero… Però, sono avvertimenti mirati e coscienti.

D. – Lei lavora sul e per il territorio anche con minori e tossicodipendenti. Quali sono le problematiche che riscontrate maggiormente, soprattutto tra i giovani?

R. – Tra i giovani il livello è tutt’altro, perché è fatto di nulla, di sballo, di non orientamento... Forme che sono degradate, nel senso che le persone non hanno riferimenti, non hanno contenuti e obiettivi. Questo è il problema più grosso. L’altro aspetto è che molti ragazzini sono fuori di testa: o per motivi familiari o per motivi personali e il loro equilibrio in alcuni momenti salta.

D. – Perché la vostra attività dà talmente fastidio?

R. – A volte, quando qualcuno fa del bene può creare fastidio a chi opera nel male. E’ un disturbo. Perché se un ambiente viene risanato, viene accudito, viene accompagnato, è evidente che chi agisce nell’ombra dell’illegalità, nella prostituzione, nello spaccio e nelle ruberie viene disturbato: perché gli si sottrae terreno. Si bonifica un territorio.

D. – Lei ha parlato di legalità, ma forse anche il supporto che date ai disagiati e ai migranti potrebbe dar fastidio?

R. – Quella è una pista che potrebbe essere di tipo ideologico. Però, il nostro territorio non ha manifestato mai forme anarchiche, anticlericali degne di questo nome, almeno a livello di aggregazioni. Sì, è sempre una pista possibile, ma sarebbe debole… Da come si vedono le scene, c’è una evidente impronta di uno stile mafioso, di uno stile malavitos:; se non di mafia ad alto rango, certamente malavitoso.

D. – Quanto è importante il compito che la Comunità di Capodarco ricopre ormai da quasi 50 anni sul territorio fermano per l’accoglienza delle persone disagiate?

R. – Abbiamo sempre seguito la linea di rispondere a chi avesse dei bisogni: fossero disabili, giovani, ragazzi stranieri, malati psichiatrici. Questa capacità di organizzarci per dare risposte, senza fare gli eroi ma dando delle occasioni concrete di vita attraverso le quali le persone potessero star meglio. E’ una azione che sembra difficile, ma che in realtà ridona senso e felicità alle persone.








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