2016-04-12 12:01:00

Franco Roberti: giovani detenuti islamici, rischio jihadismo


L’Italia deve agire subito per prevenire la radicalizzazione dei giovani musulmani. Così il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, che nel libro “Il contrario della paura” (Mondadori) mette in guardia dal rischio che le centinaia di minorenni musulmani reclusi negli istituti di pena italiani per reati minori possano essere reclutati tra le fila del sedicente Stato islamico. “Mafia e jihad sono profondamente intrecciati”, spiega Roberti. Paolo Ondarza lo ha intervistato:

R. – E’ un rischio costante che nasce dalla presenza di molti, di troppi ragazzi minorenni, oggi detenuti nel circuito minorile per reati comuni, ma che hanno accesso alle reti Internet, o potranno averlo quando saranno liberi, e che potrebbero in questo modo aprirsi a percorsi di radicalizzazione. Il rischio è che poi fra cinque o dieci anni quelli che oggi sono dei ragazzi, crescendo, pensino di darsi ad attività violenta. 

D. – E’ urgente, quindi, intervenire subito per prevenire questo rischio “radicalizzazione”…

R. – Certo, la prevenzione è fondamentale nel contrasto al terrorismo. Prevenire sul piano educativo, anche sul piano dei valori da proporre a questi giovani, in alternativa agli pseudo valori dell’ideologia jihadista.

D. – Come questo rischio “radicalizzazione” si inserisce nel rapporto che lei traccia, denuncia, esistente tra mafia e jihadismo?

R. – Tra mafie internazionali e attività jihadiste c’è sempre stato un intreccio perverso. Abbiamo numerosi esempi, dei quali ci ricordiamo, di autofinanziamento del terrorismo: il traffico di droga, il contrabbando delle merci, i sequestri di persona. E sono anche l’attualità dello Stato islamico, che purtroppo si autofinanzia soprattutto così. Questo intreccio, dunque, dovrebbe essere tenuto presente, quando si contrastano l’uno e l’altro fenomeno. E per questo,  l’anno scorso, è stata attribuita la competenza alla Procura nazionale antimafia, in ragione di questi intrecci e in considerazione della possibilità di sviluppare un utile coordinamento investigativo anche sul piano del terrorismo internazionale, come è stato fatto e come viene fatto abitualmente nel contrasto alle mafie.

D. – Al centro della connivenza tra mafie, mafia internazionale, e jihadismo, Stato Islamico, lei diceva c’è il traffico di droga. Pensiamo anche al traffico dei reperti archeologici, ma di più, potremmo pensare al traffico di esseri umani…

R. – Certo. Pensiamo che dei numerosissimi profughi provenienti dalle coste libiche, negli ultimi mesi – dal primo gennaio ad oggi – 18 mila sono provenienti dalla Libia, su 19.500 provenienti dal Mediterraneo. Dalle coste libiche, quindi, proviene la stragrande maggioranza dei profughi, in questo momento. E in questo caso non può che esserci un’attività criminale di organizzazione e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, secondo noi, in parte almeno, ma in parte rilevante, controllata dallo Stato islamico, nella misura in cui lo Stato islamico controlla le coste libiche.  

D. – E’ in questo senso che, lei dice, è importante agire in maniera inversa al sentimento naturale della paura, quindi favorire la legalità…

R. – Bisogna reagire alla paura. La paura è un sentimento naturale. Il coraggio è l’esatto contrario della paura, proprio perché ci dà la forza di reagire e di comprendere che qui è in gioco la nostra libertà, sono in gioco i nostri valori democratici e non possiamo permetterci di stare fermi a guardare l’evolversi degli eventi.

D. – La lotta che da sempre caratterizza l’Italia, la lotta nei confronti della criminalità organizzata, nei confronti della mafia, può essere un aiuto nella lotta al terrorismo internazionale che vede coinvolta l’intera Europa…

R. – Noi italiani abbiamo una grande cultura del coordinamento investigativo e giudiziario, che dobbiamo a figure come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, uomini che hanno veramente creduto nella forza del coordinamento per combattere la criminalità organizzata. Abbiamo messo e mettiamo ogni giorno a servizio dell’Unione Europea e dei nostri partner occidentali questa nostra esperienza, proprio per promuovere lo scambio informativo e la condivisione delle informazioni. Dovremmo arrivare, spero, se verrà approvata la figura del procuratore europeo, anche all’armonizzazione degli ordinamenti giudiziari, che pure è fondamentale per dare una risposta unitaria a questi fenomeni.








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