2016-04-11 14:59:00

Yemen. Mons. Hinder: p. Tom lo credo vivo, può essere liberato


Da oggi in vigore, nello Yemen, una tregua al conflitto civile che dal febbraio 2015 vede opposti al governo del presidente Hadi, appoggiato dai sauditi, ai ribelli Houthy sostenuti dall’Iran. Una guerra che in 14 mesi ha causato oltre seimila morti e due milioni di sfollati. E resta alta la preoccupazione per il sacerdote salesiano indiano, padre Tom Uzhunnalil, rapito il 4 marzo nella città di Aden da un gruppo islamico fondamentalista, che ha assaltato il convento delle Missionarie della Carità, uccidendo quattro suore ad altre 12 persone. Ieri il Papa, al Regina Caeli, ha chiesto la liberazione di p. Tom e di tutti i sequestrati in zone di guerra. Come è stato accolto questo appello? Roberta Gisotti ha raggiunto al telefono a Dubai mons. Paul Hinder, vicario apostolico dell’Arabia meridionale, che ha sotto la propria cura pastorale anche lo Yemen:

R. – Io ringrazio il Santo Padre per avere fatto questo appello perché spero che la sua voce sia ascoltata anche dall’altra parte, anche se non sappiamo quale sarà il risultato.

D. – Si ha qualche notizia che faccia ben sperare?

R. – Io sono convinto, cioè ho ragione di credere, che p. Tom sia vivo e che ci sia ancora la possibilità che sia liberato. Però, io non posso entrare nei dettagli perché è una situazione molto delicata.

D. – Eccellenza, che condizione vivono oggi i cristiani nello Yemen? Sappiamo che la situazione è molto peggiorata a causa del conflitto civile…

R. – Sì, è vero che la situazione in tutto il Paese sia molto critica – economicamente, politicamente – e c’è un problema serio, sanitario, per una grande parte, per milioni di persone della popolazione. Riguardo ai cristiani, sono rimasti in pochi: non  è possibile sapere esattamente quanti ce ne sono ora. E’ chiaro che non possono praticare pubblicamente la loro fede e poi non ci sono più sacerdoti che possano lavorare per il momento. Rimangono queste due comunità delle Missionarie della Carità a Sana’a e a Hodeidah. Gli altri cristiani sono sparsi nel Paese, però non ho notizie chiare perché è quasi impossibile contattarli.

D. – Sappiamo che proprio dalla mezzanotte scorsa è scattata una tregua. Un accordo l’Onu che ha definito “il primo passo per evitare l’abisso”…

R. – E’ vero, è urgentissimo che sia rispettata questa tregua, perché è l’unico modo di iniziare qualche passo verso una pacificazione nel Paese, perché veramente è una situazione che sfiora la tragedia. Come si è potuto leggere anche in questi giorni, ci sono milioni e milioni di persone che hanno problemi di fame, di salute... Ci sono le cose più ordinarie che non sono più accessibili come l’elettricità, il petrolio e l’acqua, che è il problema maggiore. Allora, si può immaginare la situazione in questo Paese.

D. – Eccellenza, questa vicenda tragica delle quattro suore e di altre 12 persone uccise nell’assalto di questo gruppo islamico, che poi ha rapito padre Tom, forse potrà anche servire – assieme all’appello del Papa – ad accendere un faro su situazioni così drammatiche, di cui dall’altra parte del mondo ci si dimentica?

R. – Mi sembra questo anche l’aspetto positivo dell’appello di ieri: di lottare contro la memoria breve, perché oggi la gente passa ogni giorno da un problema a un altro e dimentica subito ciò che è successo ieri. Anche per questo – soprattutto in una regione come lo Yemen, che di solito non è al centro dell’attenzione né dei media né dell’opinione pubblica – sono contento che queste suore rimangano nella memoria della Chiesa perché, secondo me, sono veramente martiri, testimoni della fede in una parte del mondo dove la stragrande maggioranza delle persone pensa che non vi siano cristiani, mentre invece ci sono, anche se non sono migliaia.








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