2016-04-10 08:00:00

Presidenziali in Ciad. Deby in corsa per il quinto mandato


Domenica di voto in Ciad per le elezioni presidenziali. Gli elettori sono chiamati a scegliere fra 13 candidati tra cui il capo di Stato uscente Idriss Deby, che mira ad un quinto mandato dopo 26 anni di potere incontrastato in uno dei Paesi più poveri mondo. La ricandidatura del presidente uscente ha provocato numerose manifestazioni e proteste da parte della società civile, che chiede un rinnovamento della classe politica. Per un’analisi delle condizioni del Paese africano, Marco Guerra ha intervistato Anna Bono, docente di Storia dei Paesi e delle istituzioni africane presso l'Università di Torino:

R. – Il Ciad va al voto in un momento particolarmente difficile, perché, come altri Stati africani, è un Paese produttore di petrolio e dipende molto da quest’ultimo. E quindi risente in misura notevole del crollo drastico del prezzo del petrolio sui mercati internazionali. È una situazione che pesa su gran parte dei Paesi africani, e che oltretutto non promette di risolversi in tempi brevi. Queste votazioni si collocano quindi in un contesto di difficoltà sociali ed economiche, che si sono riverberate sulla campagna elettorale.

D. – La ricandidatura del presidente uscente per un quinto mandato alla guida del Paese ha causato un’ondata di proteste: per i leader africani lasciare il potere è sempre un’opzione molto difficile…

R. – Il presidente del Ciad ha ottenuto la cancellazione dell’articolo costituzionale che gli impediva di ricandidarsi e siamo addirittura al quinto mandato presidenziale. Questo, ovviamente, crea nell’opposizione scontento e vani tentativi di denunciare questa situazione come una situazione che rende solo apparente la democrazia di Kobane, perché – appunto – questo leader è addirittura al suo quinto mandato, ma d’altra parte non è l’unico.

D. – In che condizioni, quindi, si trova il Paese?

R. – Un dato per tutti, che basta a dare un’immagine del Paese è questo: ogni anno le Nazioni Unite pubblicano una classifica dei Paesi del mondo in base al loro livello di sviluppo umano e quindi non soltanto di crescita economica ma di condizioni di vita generali. Ebbene, quest’anno il Ciad si trova in 185.ma posizione: praticamente è uno degli ultimi. È uno dei Paesi più poveri del mondo. E questo, per un Paese produttore di petrolio, che è vero che in questo momento è in crisi, ma produce petrolio da diversi anni, è un indicatore di qualcosa che non va. Il problema non è soltanto un leader che rimane a tempo indeterminato al potere: il problema è come lo gestisce questo potere, lui e la classe politica di cui si circonda; quest’ultima, nel caso del Ciad, non sta mettendo a frutto i proventi del petrolio e anche le altre risorse per farne un fattore di crescita economica, e quindi poi di sviluppo umano.

D. – Il Ciad è un importante alleato alla lotta al terrorismo: nel Paese c’è la base principale dell’operazione internazionale a guida francese. Nel quadro regionale, qual è il ruolo del Ciad?

R. – Non solo il Ciad ha la base francese, ma in Ciad c’è anche la base dello schieramento militare interregionale che sta combattendo Boko Haram, il movimento islamista, in Nigeria e nei Paesi confinanti, quindi anche in Ciad. Anzi, proprio le truppe del Ciad sono state decisive l’anno scorso per costringere Boko Haram a lasciare gran parte dei territori e delle cittadine che aveva occupato creando una sorta di califfato. Quindi sì, ha un ruolo molto importante su questo fronte, non c’è dubbio.

D. – Quali saranno le sfide che aspettano al nuovo presidente?

R. – Le sfide del nuovo presidente e del nuovo governo – si fa per dire perché è molto probabile che venga rinnovata la fiducia al presidente attuale – sono quelle degli anni trascorsi: riorganizzare e risanare un’economia che, nonostante la crescita economica, non si traduce in sviluppo, umano e sociale. Inoltre, c’è da dire che il Ciad deve far fronte al problema del jihadismo.








All the contents on this site are copyrighted ©.