2016-04-05 16:40:00

Caritas Bolzano: no a maggiori controlli per stop immigrati al Brennero


"L'esercito austriaco è pronto per un intervento rafforzato ed ha anche pianificato forze aggiuntive" al fine di garantire il controllo del confine con l’Italia. E’ quanto ribadisce il ministro della difesa austriaco Hans Peter Doskozil. “Il Brennero deve unirci, non si torni indietro”, avverte dalle pagine di “La Repubblica” di oggi, il presidente emerito Giorgio Napolitano che afferma l’importanza di salvaguardare la libera circolazione delle persone e delle merci. Domenica la manifestazione di protesta al confine da parte di attivisti, per la maggior parte italiani, contro la politica di chiusura annunciata dall’Austria in risposta al fenomeno migratorio. Ma il ripristino dei controlli al Brennero è così necessario? Adriana Masotti lo ha chiesto a Paolo Valente, direttore della Caritas di Bolzano-Bressanone:

R. – Il questo momento il flusso è – direi - insignificante, nel senso che negli ultimi mesi c’è stato un flusso abbastanza importante, anche se mai paragonabile con quelle di altre frontiere austriache: siamo arrivati sui 100-150 anche 200 persone al giorno. Attualmente non c’è nel modo più assoluto quella pressione che si prevedeva e che per rispondere alla quale si è sinora ipotizzata la cosiddetta chiusura del confine del Brennero.

D. – Che cosa pensa allora l’Austria di ottenere con il ripristino dei controlli? Qual è la ragione che spinge a questa decisione?

R. – Anzitutto direi che il discorso del terrorismo  è del tutto marginale. Si tratta piuttosto di ridurre quello che è stato finora l’impatto di questa improvvisa – per così dire – migrazione che c’è stata soprattutto a partire dall’estate scorsa e dall’autunno. Teniamo presente che in alcuni mesi dell’autunno, ogni giorno entravano in Austria - che è un Paese relativamente piccolo, di circa otto milioni di abitanti –  fino a 10 mila persone; l’Austria ne ha accolte in totale circa 90 mila. Nel 2015 si calcolavano in Italia circa 110 mila persone nelle strutture, l’Italia però è un Paese si 60 milioni di abitanti…. Ad un certo punto l’Austria, messa – devo dire – anche sottopressione da motivi elettorali – c’è fra un po’ l’elezione del presidente – ha ipotizzato innanzitutto un numero chiuso annuale e poi dei limiti all’ingresso: o 80 persone al giorno oppure un transito di 3.200 persone al giorno. E per fare questo è necessario un controllo alle frontiere.

D. – “Il Brennero non è un confine come tutti gli altri” ha detto il senatore Panizza del Partito Autonomista Trentino Tirolese. Credo che non sia il solo a sostenerlo…

R. – Il Brennero, nel corso di tutto il Novecento, ha rappresentato uno dei frutti un po’ avvelenati della Prima Guerra Mondiale con la separazione dell’antica regione del Tirolo, nel Tirolo del Nord e nel Tirolo del Sud: quindi anche una divisione culturale, linguistica molto importante. Quando fu aperta la frontiera del Brennero fu un atto di liberazione, in cui si respirò veramente l’aria dell’Europa, dell’Europa che unisce, che rimette insieme i popoli, che mette in comunicazione. Quindi, in qualche modo, il Brennero è la porta che unisce il Sud Europa al Nord Europa, che unisce l’Europa latina all’Europa germanica: quindi ha un alto valore simbolico per tutta l’Europa, ma anche in particolare per questa nostra terra che ha bisogno e vive di questa comunicazione.

D. – Quali riflessi, appunto, ci potrebbero essere da controlli più rafforzati?

R. – Si temono conseguenze sull’economia turistica in modo particolare, perché controlli maggiori significa essenzialmente rallentamenti e i rallentamenti non favoriscono il turismo; e poi, essendo appunto un’arteria di transito anche di merci molto importante, si temono delle conseguenze anche per quanto riguarda il commercio. Naturalmente noi diciamo che non è questo il motivo dell’apertura o della chiusura di un confine: ci sono dei motivi umani, se vogliamo anche umanitari, politici, storici che vengono anche prima di quelli economici.

D. – Voi, come Caritas, in che modo vi sentite interpellati da tutto quello che sta succedendo e in che modo vi muovete?

R. – In questo momento stiamo gestendo, per conto della provincia e dello Stato, una decina di case di accoglienza per persone richiedenti asilo. Quello che facciamo è andare a parlare sul territorio,  parlare con la gente e dire che con la chiusura dei confini non facciamo altro che spostare un confine da una parte all’altra. E questo confine che noi stiamo spostando è il confine tra il mondo ricco e il mondo povero. Quello che noi teniamo a sottolineare è che vanno anche ricercate le cause e che dobbiamo poi interrogarci sulle cause di queste emigrazioni.

D. – Trovate difficoltà e resistenze tra la gente, in genere?

R. – Stiamo monitorando tutti i luoghi e i paesi in cui abbiamo delle case di accoglienza per i profughi e abbiamo visto che nella maggior parte dei casi agire in modo trasparente, dire chiaramente chi sono queste persone e dire anche chiaramente come funzionano i finanziamenti, chi  mette i soldi e dove questi vanno a finire, tutto questo aiuta e favorisce un clima di maggiore accoglienza.








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