2016-04-03 09:00:00

In vigore accordo Ue-Kosovo: sviluppi su migranti e antiterrorismo


Una grande scommessa geopolitica per la stabilizzazione dell’area tra Europa e Medio Oriente: questo rappresenta l’Accordo di stabilizzazione e di associazione (Asa) tra l'Unione Europea e il Kosovo, entrato in vigore il primo aprile. Significa nuove opportunità di investimenti e crescita ma soprattutto il consolidamento del percorso di riforme avviato da questa regione balcanica a maggioranza albanese e musulmana autoproclamatasi indipendente dalla Serbia nel 2008, ma non riconosciuta come Stato sovrano da oltre 80 Paesi dell'Onu. Fausta Speranza ha intervistato Giandomenico Caggiano, docente di Diritto dell’Unione Europea all’Università Roma Tre:

R. – L’importanza politica è straordinaria, perché la situazione è particolarmente critica da tanti punti di vista; ma soprattutto data la necessità di controllare il flusso migratorio e poi alla luce degli altri aspetti che caratterizzano la crisi. Dal punto di vista giuridico, l’accordo rappresenta un insieme di obblighi che progressivamente riducono il gap tra la struttura 'statale' del Paese che viene “associato” e il principio dello stato di diritto, le condizioni della democrazia che caratterizzano l’appartenenza all’Unione Europea.

D. – Diritti e obblighi reciproci, ma anche opportunità…

R. – Sì, le opportunità sono a medio termine. Dal punto di vista economico, i dazi doganali cadono ed è più facile la circolazione delle persone. Ma è evidente che non sono i vantaggi economici a giustificare l’importanza dell’accordo, quanto il fatto che evidentemente la Serbia ha rimosso il suo veto, consentendo a Romania, Grecia e Spagna - Paesi dell’Unione Europea che non avevano riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, in tutto sono 5 (con Slovacchia e Cipro, ndr) - di procedere. E in cambio la Serbia ha avuto l’accesso allo status di “Paese candidato all’ingresso nell’Unione Europea”. Non mi sento di esaltare gli immediati aspetti economici di questo accordo, ma piuttosto quelli di carattere politico e, in particolare, quelli relativi ad eventuali flussi migratori che avrebbero potuto deviare verso il Kosovo. E poi comunque deve essere ricordato che il Kosovo è un Paese a quasi totale presenza di popolazione islamica, ancorché ci siano dei monumenti e delle chiese ortodosse. Insomma, questa presenza in maniera ordinata e coordinata con l’Unione Europea esclude o comunque riduce il rischio che vi siano attacchi. La stampa dice anche che ci sono alcune zone del territorio del Kosovo dove vi sono delle forme di jihadismo che occupano militarmente parti del territorio. Ma se questo fosse vero, l’accordo accresce comunque la possibilità di sostegno alla Repubblica indipendente del Kosovo.

D. – Come si è arrivati a questo accordo?

R. – Ci si è arrivati in un momento in cui la situazione, dal punto di vista del diritto internazionale, era piuttosto confusa, perché molti Stati non riconoscevano l’indipendenza del Kosovo: ci fu una vera e propria spaccatura, ancorché la Corte internazionale dell’Aja avesse detto che la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo non infrangeva il diritto internazionale. In questa fase così complicata, senza un accordo specifico, ha operato in Kosovo una missione chiamata “Eulex”, che ha aiutato le autorità a combattere la corruzione, a organizzare gli appalti, e soprattutto ad accrescere il controllo degli atti a livello giudiziario: questo con un certo numero di magistrati italiani. Quindi, questo è il riconoscimento che il Kosovo non parte da zero, come era nel 2008, in un isolamento internazionale e rispetto alla Serbia. Il Paese ha già compiuto una parte del processo di democratizzazione che adesso sarà perseguito in maniera più intensa sotto il controllo della Commissione europea e degli organi di associazione, creati per un controllo sui singoli dossier che comprendono l’integrazione tra l’Unione Europea e il Kosovo, piccola, ma importante realtà politica.








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