2016-03-31 10:40:00

Palmira, segno della rinascita siriana: arrivano gli sminatori russi


E’ arrivato in Siria il primo gruppo di sminatori russi per bonificare da ogni ordigno la città di Palmira, dove si trova lo splendido sito archeologico d’epoca romana che i miliziani dell’Is hanno occupato dal maggio 2015, depredandolo e in parte distruggendolo. Palmira sta diventando il simbolo della rinascita siriana, dopo 5 anni di guerra civile. Ma quanto e come si potrà recuperare? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Franco D’Agostino, professore di Assiriologia presso l’Università della Sapienza a Roma:

R. – Sembra possibile riportare Palmira, nel giro di pochi anni, agli sfarzi di un tempo: le distruzioni sono state importanti, ma per quello che possiamo vedere – nonostante la presenza dell’Is e l’atteggiamento che l’Is ha avuto – la città ha subito meno danni di quelli che noi potevamo temere.

D. – Ma nella concretezza che significa?

R. – Significa che, in realtà, molto del distrutto era già stato ricostruito e quindi si può ricostruire senza problemi. Per quanto riguarda le statue, che erano intrasportabili e quindi non erano state messe in salvaguardia all’interno del museo, anche quelle – in qualche modo – si possono restaurare, con un lavoro di due anni o almeno questa è l’ipotesi e con un aiuto dall’esterno: questo è assolutamente necessario!

D. - Perché una forza distruttiva come quella dell’Is si accanisce anche su siti archeologici? Palmira non è il primo e non è l’unico in Siria, come lo è stato anche per l’Iraq…

R. – L’Is ha una ideologia che prevede che nessuna realtà realizzata dall'uomo deve distrarlo dall’unico vero culto di Dio. In questa interpretazione molto ristretta della lettera del Corano, loro hanno tendenza a distruggere – e questo bisogna sottolinearlo – non soltanto le antichità pre-islamiche, ma anche quei resti islamici, come - per esempio - le moschee che sono costruite sulla tomba di personaggi famosi e questo perché quel personaggio, in qualche modo, distrae la venerazione verso l’unico ente, l’unica realtà per cui l’uomo deve avere adorazione. Ovviamente c’è un atteggiamento più politico, che è quello di voler costruire uno Stato e questo impone la distruzione del passato dello Stato precedente: quindi c’è anche una valenza politica, oltre che ideologica e religiosa, in questo atteggiamento.

D. – Che fine hanno fatto le cose che lì non ci sono più e che non si troveranno più?

R. – Molto era stato messo in sicurezza. Si parla molto dell’utilizzo dei beni culturali da parte di Daesh per la loro guerra: in realtà di questo noi non abbiamo una prova diretta. Sappiamo che sicuramente questo saccheggio c’è, ma non abbiamo la prova dell’ampiezza: che un mercato esista è sicuramente così e che sia in Siria che in Iraq esiste la possibilità che oggetti siano trafugati e che vengano perduti per sempre per la scienza e il patrimonio mondiale.

D. – Lei dice che è possibile restaurare, che è possibile recuperare ed è plausibile che esistano, tra gli studiosi, già progetti su questo: ma come si procede? 

R. – E’ necessario da un punto di vista tecnico fare una valutazione dei danni e creare un comitato internazionale possibilmente, che in qualche modo valuti le vie migliori per il restauro; trovare i fondi per questo, con dei donatori internazionali e l’Unesco dovrebbe aiutare in questo; e poi rendersi conto che questa attività è la vera attività di opposizione all'Is da un punto di vista politico e assai più della guerra per certi aspetti: il far vedere cioè al mondo che l’islam non è quella bestia che l'Is vuole incarnare, ma è qualcosa di molto più sofisticato sia culturalmente che storicamente.

D. – Ci dice qualcosa che ci possa veramente far incuriosire di questo posto, tanto da dire che è veramente un patrimonio mondiale?

R. – L’aspetto più straordinario di Palmira è il suo essere una sorta di porto franco, in cui diverse realtà, diverse culture, diversi punti di vista, diverse lingue si sono incontrate, creando una realtà culturale, una storia comune. Noi possiamo leggere nei suoi monumenti proprio questa varietà di diverse popolazioni, religioni, ideologie, lingue, che hanno popolato il Medio Oriente e la Siria nel caso specifico. Credo che la visita a Palmira sia la visita verso una realtà che ci fa capire quanto poco il Califfato abbia a che fare con una tradizione così aperta, così straordinaria, quale è stata quella siriana, anche in epoca islamica.








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