2016-03-31 11:11:00

Libia. Al Sarraj tra speranze e minacce. Oscurata Al Nabaa


Alta tensione in Libia dopo l'insediamento del premier appoggiato dalla comunità internazionale Fayez Al Sarraj. Ieri ha proclamato l'entrata in funzione del proprio esecutivo che per ora ha sede in una base navale. Spari e tiri di artiglieria si sono contrapposti alla nuova pagina politica del Paese. Oscurata nella notte la Tv Al Nabaa, tutt'ora chiuso l'aeroporto. Massimiliano Menichetti:

Raffiche di mitra, spari e anche tiri con le anti-aeree montate sui pick-up. E’ stata questa la risposta di Tripoli all’insediamento ieri del premier sostenuto dall’Onu, Fayez Al Sarraj. "E’ una giornata storica" ha detto il leader dopo l'arrivo via mare, a causa della chiusura dello spazio aereo, alla base navale di Abusetta che sarà sede del governo di unità nazionale finché nella capitale libica non calerà la tensione. Sarraj ha annunciato che "il governo ha assunto le funzioni” esortando a "unire gli sforzi" per "contrastare Daesh" che invece conquista posizioni sulla cosa. Un palco e un gazebo invece sono stati bruciati in piazza Martiri dove avrebbero dovuto manifestare i sostenitori del primo ministro. E tutt’altro che rassicuranti sono le minacce da parte del governo non riconosciuto, ma insediato da quasi due anni a Tripoli, qui il premier, Khalifa Ghwell ha rifiutato la legalità di Sarraj e ribadito che il neo capo di governo “ha due opzioni: consegnarsi alle autorità o tornare da dove è venuto ovvero a Tunisi”. Appello poi "a tutti i rivoluzionari a schierarsi contro" quello che è stato definito un “gruppo di intrusi”. In questo scenario l'inviato Onu per la Libia, Martin Kobler, ha avuto un incontro a Tunisi con il primo vice presidente del parlamento di Tobruk, Emhemed Shoaib, dedicato proprio al tema del processo politico. La città in queste ore è blindata e la situazione è tranquilla, l'aeroporto della capitale continuerà a rimanere chiuso come la tv Al Nabaa. Nella notte l'emittente, vicina alle autorità che si oppongono ad Al Sarraj, è stata assaltata da uomini armati che hanno interrotto le trasmissioni ed evacuato il personale.

Sulla tenuta del nuovo governo di Tripoli abbiamo raccolto il commento di Germano Dottori, docente di Studi Strategici all'Università Luiss di Roma:

R. – C’è da dubitare che riesca persino a trovare il modo di insediarsi e di governare quella parte di Libia che è fedele, in questo momento, al potere di Tripoli. Il problema è che c’è una discreta probabilità che le Nazioni Unite riconoscano il nuovo governo come l’interlocutore internazionale legittimo del Paese e poi su questa base si raggiunga un accordo in Consiglio di Sicurezza per autorizzare una missione internazionale che lo imponga alla Libia.

D. – C’è chi parla della miccia pronta a far esplodere quella che viene già definita una polveriera…

R. – E’ possibile che – come dice il presidente egiziano al Sisi - Tripoli si trasformi in una specie di Mogadiscio. La realtà di Mogadiscio mi fa pensare a quello che successe tra il 1992 e il 1994, quando ebbe luogo in Somalia una missione di intervento umanitario volto a stabilizzare il Paese e soprattutto permettere la distribuzione di aiuti ad una popolazione che era stremata e ostaggio della guerra fra le diverse fazioni. Andò malissimo e dopo pochi mesi le truppe internazionali divennero praticamente il bersaglio di una serie di attacchi molto sanguinosi, finalizzati a determinare una reazione militare pesante. E così Mogadiscio divenne progressivamente un grande campo di battaglia: l’intervento internazionale fallì e tutti, compresa l’Italia, furono costretti a tornare a casa… Quello scenario è rimasto un punto di riferimento nella storia degli interventi militari all’estero degli ultimi 30 anni come un fallimento particolarmente bruciante.

D. – Quindi – diciamo – in questo momento in Libia bisogna attendere e vedere come si evolverà la situazione?

R. – Certamente, se non vogliamo inserire delle truppe internazionali nella dinamica di quella che potrebbe essere una guerra civile ai primordi. Si tratterebbe di andare a sparare contro chi si oppone al nuovo governo per farglielo accettare e questo in scenari dove le armi sono molto diffuse tra la gente e non ci si pensa due volte ad usarle…

D. – Il governo di unità nazionale è respinto da Tripoli; l’altro parlamento, quello di Tobruk, riconosciuto a livello internazionale, non ha ancora votato però in suo favore. Questo riconoscimento, se fatto in tempi brevi, gli darebbe più forza?

R. – Occorrerebbe vedere la reazione a Tripoli. La mia sensazione è che il nuovo governo cosiddetto di accordo nazionale più di tanto non ne beneficerebbe, mi pare che la base di appoggio di cui gode attualmente sia particolarmente ristretta. Quindi purtroppo questo tentativo è da considerarsi molto probabilmente destinato a fallire, ma a fallire con conseguenze più gravi dei nulla di fatto che hanno preceduto l’intesa raggiunta in Marocco lo scorso dicembre.

D. – Professore, questo in un contesto in cui lo Stato Islamico si sta comunque espandendo. Sono collegate le due cose?

 R. – Relativamente, nel senso che la debolezza degli esecutivi di Tripoli e di Tobruk e la loro separazione è alla base del successo che ha incontrato il tentativo dei neo-gheddafiani di reinserirsi nella vita politica libica, adottando il marchio dello Stato Islamico. E tra l’altro mi sembra di capire da quello che si legge che stanno affluendo - questa volta, però, islamizzati – al raggruppamento dei neo-gheddafiani proprio le stesse etnie – tra virgolette – che sostenevano in altro modo il regime del colonnello durante la guerra del 2011. Certe lealtà sono dure a morire…








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