2016-03-30 08:01:00

Battute d'arresto per l'Is, ma il Califfato non è ancora sconfitto


Aumentano le operazioni militari per fronteggiare il sedicente Stato Islamico. Il grosso delle iniziative in Siria, dove l’esercito di Damasco, supportato dalle forze russe, dopo la riconquista di Palmira, punta a consolidare le posizioni. Intanto il Califfato reagisce: ieri in Iraq un nuovo attentato firmato dai jihadisti. Ci riferisce Giancarlo La Vella:

Lo Stato Islamico ora colpisce dove può e come può, cercando di causare più vittime possibili. Ieri grave attentato in Iraq. Un kamikaze si è fatto esplodere nel centro di Baghdad vicino a un gruppo di lavoratori. Quattro morti e 22 feriti il bilancio dell'attacco terroristico rivendicato via web dal Califfato, secondo il quale si voleva colpire le milizie sciite delle Forze di mobilitazione popolare. Spostandoci in Siria, si cerca di rimettere in piedi quel che rimane della città di Palmira e del suo sito archeologico, patrimonio dell’Unesco, devastati in dieci mesi dai jihadisti. Dopo la riconquista da parte di Damasco, l’organismo dell’Onu ha affidato alla Russia il compito di sminare tutta l’area. Intanto, torna ad assumere un ruolo di rilievo il presidente Assad, sulle cui sorti si discute ai negoziati di Ginevra. Secondo il capo dello Stato le recenti vittorie dell'esercito siriano, con il supporto di Mosca, non rallentano il processo politico in corso, ma anzi accelerano la soluzione della crisi – ha detto in un’intervista alla stampa russa. 

In Siria e Iraq sembra, dunque, che lo Stato Islamico stia perdendo posizioni. Lo ribadisce, al microfono di Massimiliano Menichetti, Pietro Batacchi, direttore di Rivista Italiana Difesa:

R. – Ha perso il 22% del territorio, ma se guardiamo al solo Iraq addirittura il 40%. Ha perso città importanti, in Iraq, come Ramadi, prima aveva perso Tikrit, in Siria adesso ha perso la città di Palmira … Questo però non vuol dire che lo Stato Islamico sia un nemico sconfitto: tutt’altro, perché è un’organizzazione straordinariamente flessibile e adattabile alle circostanze sul terreno ed è un’organizzazione che ancora ha una sua forza. Certamente  molto indebolita anche perché sia i raid russi sia quelli americani hanno interdetto gran parte del contrabbando di petrolio che era una delle fonti – se non la principale fonte – di finanziamento dello Stato Islamico.

D. – Alcuni sostengono che sia gli attentati in Africa, sia gli attentati in Europa – come quelli di novembre a Parigi o gli ultimi a Bruxelles – siano una fiammata perché lo Stato Islamico si indebolisce …

R. – In parte, questa lettura ha un suo fondamento di verità, in parte bisogna sottolineare un aspetto: che questi attentati, soprattutto quelli sul teatro europeo, dimostrano la forza e il consolidamento, la profondità delle filiere terroristiche che lo Stato Islamico in questi anni ha creato in Europa. Gli attentati come quelli di Parigi, quelli di Bruxelles, gli attentati che comunque sono stati sventati in questi mesi dimostrano l’ampiezza di una struttura che probabilmente le forze di sicurezza e i servizi di intelligence europei non si aspettavano.

D. – Come si deve rispondere a questa minaccia?

R. – Soprattutto con l’intelligence: bisogna capire come fare questa intelligence. Vuol dire che soprattutto alcune agenzie di intelligence europee devono riscoprire prima di tutto l’ “Humint” (Human Intelligence), l’intelligence umana, cioè devono tornare a infiltrare le organizzazioni terroristiche perché queste organizzazioni terroristiche si conoscono se le si infiltrano dall’interno.

D. – Perché, adesso si sta facendo prevalentemente analisi di dati e intercettazioni?

R. – Purtroppo sì. Purtroppo, da anni è invalso anche in alcune agenzie di intelligence europea la prassi, già in vigore negli Stati Uniti, di dare precedenza all’intelligence cosiddetta elettronica. Ma questo, a mio avviso, è un errore fondamentale quando si ha a che fare con organizzazioni come quelle responsabili degli attentati di Parigi e di Bruxelles.








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