2016-03-12 13:30:00

Sud Sudan, la denuncia dell'Onu: stupri come paga per i soldati


Le violazioni dei diritti umani nel Sud Sudan sono tra le più orrende al mondo, con l’utilizzo massiccio dello stupro come strumento di terrore e arma di guerra, ma anche utilizzato come paga per i combattenti. Lo denuncia un rapporto delle Nazioni Unite reso noto a Ginevra, e nel quale l'Onu descrive  le violazioni condotte dalle milizie del governo contro i civili.  Francesca Sabatinelli:

Stupri come paga per i soldati, e poi saccheggi, massacri di adulti e di bambini. Sono terribili, e irripetibili  gli strazianti dettagli che fornisce l’Onu: sono le violazioni che i militari del governo conducono sui civili sospettati di sostenere l’opposizione, una violenza che è anche una  forma di pagamento, in sostituzione dello stipendio. Il Sud Sudan è una palestra degli orrori, dove si commettono, ritiene l’Onu, violazioni che possono costituire crimini di guerra e/o crimini contro l’umanità. E' lo Stato più giovane al mondo e tra i più dilaniati dalla violenza, preda di una guerra tra le fazioni del presidente Salva Kiir e del suo ex vice Riek Machar. Un conflitto iniziato alla fine del 2013 e che ha gettato la popolazione in uno stato di terribile miseria, di fame e di gravi malattie, dove i bambini vengono uccisi ma anche arruolati forzatamente nelle milizie armate, dove dei crimini del governo non si parla. Del conflitto nel  Paese fu il New York Times a scrivere che si trattava di una “delle guerre più crudeli, ingestibili e senza senso di tutto il continente africano, una di quelle che è peggiorata senza sosta”. In cinque mesi, nel 2015, sono stati segnalati oltre 1.300 stupri soltanto in uno dei 10 Stati, quello di Unity, ricco di petrolio. E di tutto questo sono colpevoli tutti: i gruppi di opposizione ma principalmente le forze governative e le milizie affiliate che, ha denunciato Amnesty International, sono stati autori dell'ennessimo orribile massacro, definito "crimine di guerra", di cui si è riuscito a trovare le prove: una fossa comune con oltre 60 corpi di uomini e bambini morti soffocati dopo essere stati rinchiusi in container non ventilati. I corpi sono stati poi scaricati in un campo nello Stato di Unity. Un episodio, scrive l'organizzazione, che dimostra "l'assoluta indifferenza del governo sud sudanese nei confronti delle leggi di guerra". 

Nel Sud Sudan si riscontrano tra i più alti livelli di mortalità materna e infantile per malnutrizione e patologie varie al mondo. Il 90% della popolazione vive con meno di 1 dollaro al giorno, meno del 50% della popolazione ha accesso ad una fonte di acqua, 135 bambini su 1.000 muoiono prima di raggiungere i 5 anni. Sono i dati forniti dall’organizzazione umanitaria Comitato Collaborazione Medica, presente in Sud Sudan dal 1983. Da tre anni vive lì, nella capitale Juba, Elisabetta D’Agostino, Rappresentante Paese del Ccm, che conferma al microfono di Francesca Sabatinelli quanto denunciato dall’Onu:

R. – Qui, in capitale, arrivano ovviamente notizie, a volte sono confermate e a volte sono soltanto voci, però colleghi di altre organizzazioni umanitarie confermano che la situazione rimane pesantemente instabile e che le vittime principali di questo conflitto siano comunque i civili. Due settimane fa c’è stato un attacco addirittura all’interno di un campo di sfollati, all’interno di una base della missione delle Nazioni Unite, in cui sono stati uccisi diversi civili, diversi sfollati. La situazione economica del Paese, che sta ormai degenerando da un anno a questa parte, credo abbia ulteriormente inasprito il conflitto e la sofferenza della popolazione civile. Anche perché poi c’è un numero altissimo di militari e di soldati, ma non ci sono poi le risorse per pagarli e per sostenerli.

D. – E qui arriviamo proprio alla denuncia delle Nazioni Unite, laddove si dice che soldati, ma anche le milizie alleate, vengono legittimate a depredare, a stuprare proprio perché in assenza di paga…

R. – Le voci erano già arrivate e da un po’ si parlava del coinvolgimento diretto e, in qualche modo, anche un po’ confermato, delle milizie, dell’Spla (Sudan People’s Liberation Army – esercito governativo Ndr) in attacchi a villaggi che comprendevano, oltre a massicce ruberie nei mercati e nelle case, anche stupri e uccisioni di civili. Un po’ come se il concetto fosse: “Non riusciamo a pagarvi, visto che siete stati coinvolti in una azione militare, vi lasciamo liberi di prendervi quello che potete, quello che volete, nei villaggi limitrofi interessati dal conflitto”. Questo temo che avvenga anche in West  Bahr al-Ghazāl e non solamente nello Unity, ma anche in altre aree, perché il conflitto si è diffuso e ci sono stati focolai di scontri, che si sono poi allargati in  Central Equatoria, West Equatorial e West  Bahr al-Ghazāl. In tutti questi casi si è parlato di un massiccio coinvolgimento di civili come vittime, sia durante il conflitto stesso che in seguito, come conseguenza della libertà di questi militari di fare un po’ come credono e di ripagarsi da soli dello sforzo fatto.

D. – Nella capitale, a Juba, come vivete? Cosa accade?

R. – Dopo gli scontri del 2013 non è più stata coinvolta direttamente nel conflitto, ma in questi anni abbiamo vissuto un crescente livello di criminalità e un crescente livello di insicurezza, che spesso e volentieri ha riguardato anche lo staff delle organizzazioni internazionali e delle Nazioni Unite, si parla anche di stupri di staff internazionali. Anche qui si tratta di criminali che di giorno indossano la divisa e poi di notte la dismettono, ma tengono le armi per interessi personali e questo proprio perché non ricevono il salario o delle paghe adeguate. Questo tipo di crimini resta impunito! Diciamo che c’è stata una forte disattenzione, nonostante i molti richiami delle organizzazioni internazionali, delle reti e delle Nazioni Unite affinché il governo si spendesse per una maggiore sicurezza.

D. – Al di là di queste agghiaccianti testimonianze, in che condizioni socio-economiche è questo Paese?

R. – Il Paese è in una situazione pressoché disperata! La sterlina sudanese, la moneta locale, subisce una svalutazione gigantesca rispetto al dollaro. La guerra impedisce anche l’utilizzo del petrolio, che è poi la risorsa primaria del Paese, così come anche quel poco di attività agricola che permetteva un minimo di sostentamento. In questo momento siamo nella stagione secca e continuiamo a registrare un crescente numero di casi di malnutrizione, come spesso avviene, casi che possono portare a conseguenze gravi molto complesse, perché le condizioni sono sanitarie del Paese sono estremamente fragili, con una struttura molto povera, in cui la mancanza di infrastrutture rende spesso impossibile l’accesso della popolazione ai pochi servizi sanitari presenti. Molte Ong, come noi, stanno cercando di fare uno sforzo importante per rafforzare il sistema sanitario locale, ma i bisogni sono comunque altissimi al momento e, ovviamente, il conflitto non fa che peggiorare la situazione, perché viviamo in un Paese in cui ci sono quasi 4 milioni di sfollati interni, che hanno bisogno di tutto, che non hanno alcun accesso ai beni primari e che bisogna seguire. Oltre tutto si sta registrando una diminuzione - devo dire la verità - dei fondi disponibili da parte dei donatori per il protrarsi della situazione di instabilità e per la reticenza del governo e dell’opposizione a firmare gli accordi di pace.








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