2016-03-12 16:08:00

Al Santa Cecilia torna Daniele Gatti per le sinfonie di Schumann


Ritorna a Roma, dove mancava dal 2008, il maestro Daniele Gatti, per dirigere l'Orchestra e il Coro di Santa Cecilia nelle quattro “Sinfonie” di Schumann proposte insieme alla “Rapsodia per contralto” e al “Canto del destino” di Brahms. Un ciclo di due concerti imperdibili che inizia questa sera al Parco della Musica. Il servizio di Luca Pellegrini:

La vita di Schumann fu tragica, minata dalla depressione e da un profondissimo disagio mentale che lo portò alla morte. Ma la sua musica, no. E le sue quattro Sinfonie, anche se così legate al suo mondo, alla sua personalità, lo dimostrano. Perché la terra che raccontano e la natura e le stagioni - "Primavera" è conosciuta la Prima, scritta in soli quattro giorni, "Renana" la Terza - sono l'essenza stessa della trasfigurazione della vita immersa in una pace duratura, in un mistero e in una contemplazione. Certo questi lavori sono pieni di citazioni classiche e romantiche, e furono non poco criticati nel tempo per quella scrittura orchestrale talvolta ridondante, talvolta frammentaria, ma che è la cifra distintiva di Schumann. Ma chi è Schumann? Daniele Gatti risponde, emozionato anche per il ritorno sul podio alla direzione dell'Orchestra dell'Accademia di Santa Cecilia, della quale è stato direttore stabile dal 1992 al 1997, anni per lui importantissimi e fecondi:

R. – Una personalità poliedrica. Penso che il compositore Shumann oggi sia certamente interessante per noi musicisti da riscoprire e non darlo per scontato perché si potrebbe dire: “Se mettiamo una sinfonia di Schumann in programma, rischia di essere un programma che non sostiene”; no, invece, no perché bisogna andare probabilmente a puntare su quello che è il bello, l’essenza della pagina scritta. Il messaggio certamente arriverà da quello. Non so quanto poi il pubblico possa avvertire la tecnica di composizione, il rigore … Credo che sia un viaggio all’interno di un racconto dove lui, differentemente da altri compositori, utilizza determinati mezzi tecnici che sono suoi; uno fra tutti riconoscibilissimo dal pubblico è “l’ostinato ritmico”, questa ossessività …  Ad esempio, l’allegro della seconda Sinfonia è costruita su quel ritmo puntato che alla fine non sene può più. Questa ossessività che però non è incontrollata, è tenuta assolutamente sotto controllo.

D. - Alcuni storici considerano le sinfonie di Schumann quasi un’autobiografia di suoni. È d’accordo? 

R. – Non penso che le sinfonie di Schumann stiano alla produzione di Schumann come le sinfonie di Brahms stanno alla produzione brahmsiana. Schumann è un compositore che ci ha lasciato delle pagine indimenticabili soprattutto nella musica da camera, nella musica liederistica. Le sinfonie rimangono una tappa fondamentale per quello che riguarda lo sviluppo sinfonico nella musica tedesca dell’800. Probabilmente è quel ponte di mezzo che congiunge Brahms a Beethoven; bisogna passare attraverso Mendelssohn e attraverso Schumann. Non sono brani sperimentali; trovo che siano brani che potremmo definire “un allargamento del suo pensiero cameristico”, nonostante Clara stessa dicesse che l’orchestra era il naturale sfogo per suo marito Robert per quanto riguardava l’espressione e lui stesso immediatamente prima di scrivere la sua prima sinfonia dichiara: “Ho bisogno di un’orchestra. Ho bisogno di scrivere per orchestra”. Però poi all’interno ci sono moltissimi momenti in cui il camerismo riemerge. Quindi rimangono delle composizioni affascinanti per questo motivo secondo me: l’alternarsi del respiro sinfonico a momenti di estrema intimità. I romantici comunque trovavano nella loro arte il terreno per confessare le loro emozioni. Con Schumann questo avviene in pieno.








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