2016-03-10 14:12:00

Chiusa la rotta balcanica: timori per riflusso su Adriatico


Cinque persone, tra cui un neonato di 3 mesi, sono annegate la scorsa notte nel mar Egeo mentre cercavano di raggiungere le coste dell'isola greca di Lesbo dalla Turchia. Lo riferisce l'agenzia statale Anadolu, secondo cui nove migranti sono stati tratti in salvo dalla Guardia costiera turca. A bordo c'erano persone di nazionalità afghana e iraniana. Dopo la chiusura della porta dei Balcani occidentali al flusso dei migranti, si accentuano i timori tra i Paesi europei per l'attivazione di nuove rotte, in particolare di quella adriatica. Fausta Speranza ne ha parlato con Francesco Cherubini, docente di Organizzazioni internazionali e Diritti umani all'Università Luiss:

R. – Esternalizzare i controlli, delegando Stati terzi con l’aiuto degli Stati membri dell’Unione Europea o di altre organizzazioni, nel caso della Turchia è stata tirata in ballo anche la Nato, può impedire che i flussi arrivino da lì – tra l’altro così facendo si violano una serie di norme internazionali – ma è abbastanza difficile che attraverso questo stratagemma si riesca a determinare una chiusura totale dei flussi su tutti i confini dell’Unione Europea. Probabilmente, queste rotte poi seguono altre strade e più si intensificano i controlli, normalmente, più diventano pericolose le strade alternative.

D. – Tanti dibattiti e prese di posizione, ma si sta facendo abbastanza contro i trafficanti di esseri umani?

R. – Non mi pare si stia facendo moltissimo. La ragione non è tanto di mancanza di volontà politica quanto di coinvolgimento, appunto, dei Paesi terzi limitrofi. Sono quelli, infatti, i Paesi nei quali prevalentemente questi trafficanti operano. La prima misura è togliere, per così dire, il lavoro al trafficante e il modo migliore è quello di creare dei canali regolari di ingresso di questi richiedenti asilo. Ovviamente, però, questo spaventa notevolmente gli Stati dell’Unione Europea, perché renderebbe molto più semplice per i richiedenti asilo, per i richiedenti protezione internazionale, arrivare in Europa.

D. – L’accordo sulla Turchia: tante attese, tanti dettagli da definire, ma che cosa aspettarsi?

R. – Mi sembra di capire che l’accordo vada esattamente nella direzione in cui la politica di migrazione dell’Unione Europea è andata negli ultimi anni, cioè appunto quella di delegare – quasi in bianco, però – Stati terzi limitrofi nei controlli sulla immigrazione irregolare, in cambio ovviamente di una serie di aiuti. Non è che la Turchia abbia questa posizione all’interno di questo scenario da oggi. La Turchia è il Paese che riceve più aiuti allo sviluppo dall’Unione Europea in assoluto in tutto il mondo. Ha un "Source migration" – che letteralmente vuol dire proprio porre i controlli sulle migrazioni al di fuori dei confini dell’Unione Europea – ormai da molto tempo. In questa situazione, ovviamente, la Turchia ha un potere contrattuale abbastanza forte e lo stiamo vedendo in questi giorni, perché sta continuando a rilanciare sull’accordo per ottenere ovviamente qualcosa in più.

D. – Peraltro, Ankara ha sottolineato che saranno alcune migliaia e non milioni i migranti che accetterà…

R. – Il punto non è tanto quello dei migranti che la Turchia accetterà. Il vantaggio, il beneficio che l’Unione Europea tende ad ottenere è che la Turchia blocchi l’ingresso dalla Turchia verso la Grecia dei migranti. E quelli sono tantissimi. Poi, che cosa ne farà la Turchia, questo ovviamente non lo sappiamo. Ma uno dei problemi è proprio che in questa "delega in bianco" sia possibile che lo Stato terzo che coopera finisca per violare in maniera abbastanza plateale, per così dire, alcune fondamentali norme sui diritti umani, come il divieto di "refoulement", il divieto di respingimento. Questo divieto di respingimento impone, appunto, di analizzare la situazione personale di ogni singolo individuo per stabilire se può essere rimandato nel Paese di origine o di ultimo transito, oppure no. Se lo fanno gli Stati europei, tutto ciò comporta una serie di costi, di problemi, di vincoli di solidarietà, se invece lo fanno fare alla Turchia, si troverebbe a gestire in una situazione meno complicata dell’Unione Europea per una serie di ragioni questi flussi. Anche se avrebbe comunque dei problemi. La politica del delegare sta accadendo adesso, ma accade in realtà ormai da tempo. Non è l’unico Paese, la Turchia, con cui l’Unione Europea coopera in relazione allo spostamento dei controlli, della lotta all’immigrazione irregolare fuori dai confini dell’Unione Europea.








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