2016-03-10 14:15:00

Al Gemelli i corpi di Failla e Piano. Dibattito su intervento in Libia


Dopo lunghe trattative nella notte sono rientrate in Italia le salme di Salvatore Failla e Fausto Piano, i due tecnici italiani rapiti e poi uccisi in Libia. I corpi sono stati portati al Policlinico Gemelli di Roma per gli esami autoptici. Il quadro delle indagini è ancora molto confuso e uno degli ostaggi liberati, Filippo Calcagno, ha detto che nessuno dei sequestratori parlava italiano, come invece sostenuto dalla vedova di Failla che ora rifiuta i funerali di Stato. Intanto il governo Italiano, tramite il ministro Gentiloni, ha ribadito l’indisponibilità ad un intervento militare sul suolo libico, come invece ventilato da Parigi e Washington. Marco Guerra ha intervistato Stefano Torelli, ricercatore dell’Ispi-Istituto per gli studi di politica internazionale:

R. – Chiaramente la vicenda ha ancora dei contorni – diciamo – abbastanza oscuri, a partire dal fatto che non abbiamo alcuna conferma e non sappiamo ancora effettivamente benissimo in mano a chi fossero i nostri connazionali; non sappiamo se si tratta di persone legate alla criminalità comune locale o di gruppi jihadisti; è da chiarire anche per quali motivi: infatti solitamente lo Stato Islamico, quando rapisce ostaggi, non è tanto per ottenere riscatti ma – ahimè! – abbiamo visto che era per ben altro. E' da chiarire anche un po’ quale sia il ruolo delle autorità di Tripoli, per come è stata gestita dopo, e quindi per il fatto che vi siano state delle resistenze iniziali per consegnare le salme delle due persone uccise… Insomma, vi sono ancora questi elementi da chiarire.

D. – Roma con quali autorità libiche può interloquire per far luce su tutto questo?

R. – Attualmente in Libia vi sono due governi, se non tre, perché ve ne è anche un terzo incaricato dalle Nazioni Unite e che ancora non è riuscito ad insediarsi proprio perché trova gli ostacoli di due governi che attualmente sono sul campo. Per quanto riguarda questa vicenda, le autorità - se così possiamo chiamarle - con cui il nostro governo ha parlato sono quelle del governo di Tripoli - e quindi non con quello internazionalmente riconosciuto - ma che di fatto controlla la maggior parte dell’area della Tripolitania e sappiamo che il nostro governo ha dei contatti con queste autorità.

D. – Alfano ha ribadito che la Libia va stabilizzata, ma Gentiloni ha detto: “No ad avventure inutili e pericolose”. Quali sono le posizioni degli alleati dell’Italia? Quali cancellerie spingono per l’intervento?

R. – Gli Stati Uniti hanno più volte chiesto all’Italia un appoggio, un sostegno e anche proprio un intervento, anche se non è ben chiaro poi che tipo di intervento. Sicuramente, tra i vari nostri alleati, è la Francia quella che più di tutte sta spingendo per un intervento un po’ più massiccio.

D. – Ma a che punto è il processo di pacificazione e aggregazione per un governo di unità nazionale libico?

R. – Questo è un po’ il nodo da sciogliere. Il nuovo inviato delle Nazioni Unite Kobler era riuscito all’inizio dell’anno a incaricare un nuovo governo, che per il momento è a Tunisi. Il problema è che le due parti presenti sul campo – quindi il governo di Tobruk e quello di Tripoli – non hanno ancora riconosciuto la legittimità di questo governo. Il vero punto chiave è la figura del generale Haftar, che è il capo  - l’eminenza grigia diciamo così - delle forze di Tobruk. Finché il generale Haftar, che indirettamente vuol dire anche l’Egitto – perché ricordiamo che Haftar è fortemente sostenuto dall’Egitto - non vorrà scendere a compromessi e riconoscere questo governo, difficilmente riusciremo a vedere la creazione di un governo di unità nazionale.

D. – L’ipotesi di una divisione del Paese è ancora sul tappeto?

R. – Più volte si è profilato questo tipo di scenario e cioè quello un intervento esterno, dopo il quale la Libia sostanzialmente possa essere divisa in tre: la Tripolitania, più di influenza italiana; la Cirenaica, di influenza britannica; e la Francia che ha, invece, storicamente i suoi interessi nella fascia più a sud del Fezzan. Devo dire, però, che questa – per il momento – è veramente soltanto un’ipotesi ventilata e non vi sono quindi conferme che si stia procedendo per attuare questo tipo di piano.

D. – Mentre la minaccia dello Stato Islamico continua a pesare sui destini della Libia...

R. – Sì, sicuramente continua a pesare. Personalmente, però, non credo che questo sia l’elemento che più di tutti porti destabilizzazione: come abbiamo detto, ci sono tantissime divergenze interne in Libia, proprio tra le forze locali, che fanno sì che non si riesca a trovare un accordo che possa portare alla creazione di un governo nazionale e a un minimo di stabilizzazione. Quindi lo Stato Islamico - l’Is - è un elemento che aggiungere chiaramente destabilizzazione, ma non penso si possa dire che tutto dipenda dalla presenza dello Stato Islamico.








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