2016-03-09 14:17:00

Save the Children: in Siria 250 mila minori privi di tutto


In Siria, 250 mila bambini nelle città assediate sono ridotti alla fame, sono privi di cure, non vanno più a scuola e vengono arruolati già a otto anni. La denuncia è contenuta nel nuovo Rapporto “Infanzia sotto assedio” di Save the children, in cui si rileva inoltre che, in quelle zone, il 46% delle vittime sono bambini sotto i quattro anni. Forte l’appello dell’organizzazione umanitaria perché sia reso immediatamente possibile l’accesso agli aiuti e si cessi di bombardare ospedali e scuole. Sulla drammatica situazione descritta nel Rapporto, Adriana Masotti ha intervistato Michele Prosperi, portavoce di "Save the Children":

R. – I bambini sono proprio quelli che stanno pagando il prezzo più alto in questa guerra, che ormai da cinque anni si accanisce sui civili. La realtà delle aree assediate crea condizioni assolutamente estreme: le famiglie sono costrette a vivere chiuse nelle cantine, senza uscire, per paura dei cecchini... Ovviamente, i bambini devono rimanere chiusi come gli altri e c’è una gravissima situazione rispetto alla disponibilità di cibo e all’assistenza medica. La cosa più assurda è che ci sono in questo momento bambini che stanno morendo di fame dopo aver magari mangiato per qualche giorno foglie o erba – queste sono le testimonianze che abbiamo raccolto – e muoiono quando a pochi chilometri di distanza ci sono magazzini nei quali ci sono gli aiuti fermi. Fermi perché l’accesso è difficilissimo, perché ci sono convogli bloccati ai check-point per giorni, oppure i convogli vengono depredati e soltanto una percentuale bassissima degli aiuti arriva a destinazione. Pensiamo che solo l’1% della popolazione delle aree assediate ha ricevuto aiuti alimentari, e solo il 3% ha potuto ricevere assistenza sanitaria. Anche gli ospedali, i dottori, gli infermieri non ci sono più: molti sono stati uccisi e ricordiamo che gli ospedali sono sotto i bombardamenti esattamente come le case dei civili e le scuole.

D. – E naturalmente, non potendo muoversi, i bambini non vanno neppure a scuola…

R. – Certo, in alcune aree gli insegnanti rimasti si sono organizzati come hanno potuto: abbiamo notizie, per esempio, di una scuola nella quale più di mille bambini, nelle classi nascoste nelle cantine, stanno cercando in qualche maniera di continuare a fare lezione... Ma parliamo di una generazione intera perduta ed è questa una cosa particolarmente significativa, in Siria, un Paese dove la scolarizzazione era al 99% prima dell’inizio del conflitto.

D. – E poi, questi bambini non giocano più, non fanno più i bambini ma hanno responsabilità già da adulti e anche questo crea dei problemi per loro…

R. – E’ così. Assistiamo questi bambini in diverse aree all’interno della Siria e li incontriamo, purtroppo, tutti i giorni ai confini con i Paesi vicini alla Siria. Quando arrivano, questi bambini sono assolutamente traumatizzati, portano segni profondissimi dell’orrore a cui hanno assistito. Riporto la testimonianza di una famiglia in fuga da una delle città assediate. Non ce la faceva più, non avevano più da mangiare – e questo padre ci diceva: “Non potevo assistere ai miei figli che morivano di fame”. Hanno abbracciato i loro figli e assieme ad alcuni vicini hanno incominciato a correre sotto il fuoco dei cecchini per cercare di uscire dalla città e alcune persone intorno a loro sono state colpite, ma non si sono neppure potuti fermare ad assisterle: l’unica cosa da fare era correre, guardando avanti… Ecco, queste sono le cose a cui questi bambini hanno assistito, perdendo completamente la fiducia nei confronti degli adulti. Gli adulti che hanno imparato a conoscere sono gli adulti che pilotano gli aerei, che fanno i bombardamenti, sono i cecchini che sparano indifferentemente, anche alle donne e ai bambini.

D. – Anche in Siria c’è il fenomeno dei bambini soldato?

R. – I bambini vengono coinvolti e purtroppo le condizioni di deprivazione sono un’ulteriore aggravante, proprio perché spesso la possibilità di essere arruolati significa la possibilità di un pasto, significa la possibilità di un luogo dove dormire… Naturalmente, un altro inferno ma un inferno in qualche maniera un po’ meno terribile di quello al quale sono costretti.

D. – L’accesso per le organizzazioni umanitarie nelle aree assediate è molto ridotto: “Save the Children” lavora grazie ai partner locali. Che cosa riuscite a fare?

R. – Quello che noi cerchiamo di fare è assistere soprattutto i bambini con le loro famiglie e i bambini che sono rimasti soli: noi cerchiamo di assistere proprio i più vulnerabili e quelli che hanno maggior bisogno sia di assistenza per sopravvivere, ma anche di protezione. Sappiamo che in queste condizioni il rischio di violenze, di sfruttamento nei confronti dei bambini è altissimo.

D. – Leggendo il vostro Rapporto, veramente viene da dire – come voi scrivete – “tutto questo è troppo”. Il vostro appello:

R. – Il nostro appello è un appello molto forte e molto chiaro ed è la richiesta che venga dato immediatamente accesso libero e permanente agli aiuti umanitari nelle aree sotto assedio, che cessino gli attacchi soprattutto sugli obiettivi come le scuole, gli ospedali e le infrastrutture civili vitali, che poi lasciano intere aree senza acqua, senza elettricità. Soprattutto, la distribuzione degli aiuti umanitari non dev’essere legata alle negoziazioni per gli accordi di pace: non può essere merce di scambio! Deve essere una priorità di per sé. Sappiamo quanto sia difficile per la diplomazia internazionale identificare una possibile soluzione al conflitto, ma i bambini che in questo momento stanno rischiando di morire non possono attendere i tempi della diplomazia e devono essere raggiunti immediatamente dagli aiuti. Questo è fondamentale.








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