2016-03-05 18:39:00

Calcagno e Pollicardo ancora in Libia. Forse domani il rientro


Il futuro della Libia e la stabilità dell'intera regione del Sahel sono in pericolo. E' la denuncia del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon sulla crisi in atto. Intanto è slittato a domani l’arrivo di Filippo Calcagno e Gino Pollicardo, i due italiani rapiti in Libia a luglio e liberati ieri. Massimiliano Menichetti:

Domani alle dodici a Sabrata ci sarà una conferenza stampa e poi consegneremo Filippo Calcagno e Gino Pollicardo. Così in sintesi senza fornire altri dettagli il Direttore del dipartimento media stranieri del governo Tripoli, Jamal Zubia sulla sorte dei tecnici della ditta Bonatti, liberati ieri dopo otto mesi di sequestro. Domani secondo Zubia saranno consegnati anche i corpi  di Fausto Piano e Salvatore Failla, gli altri due dipendenti rapiti sempre a luglio, ma rimasti uccisi in uno scontro a fuoco. Guardando una Libia lacerata e frammentata oggi il Segretario Generale dell’Onu Ban Ki-moon ha intanto ribadito che il futuro del Paese e la stabilità dell'intera regione del Sahel sono in pericolo a causa di quello che ha definito lo "spaventoso flagello" rappresentato dai jihadisti dell’Is. Ban Ki-moon ha anche invitato le potenze internazionali a non "alimentare il fuoco del conflitto" in Libia. E un eventuale impegno militare italiano nell’area oggi è tornato anche il premier Renzi, chiarendo che “potrebbe avvenire solo sulla base della richiesta di un governo” libico legittimato e solo dopo il via libera del parlamento italiano.

 

Sull’efficacia e sulla natura di una eventuale missione italiana in Libia,Paolo Ondarza ha intervistato il generale Leonardo Tricarico, già capo di stato maggiore dell’Aeronautica militare:

 

R. – Oggi mi sentirei di sconsigliare qualsiasi tipo di intervento organizzato secondo le forme classiche dell’impiego dello strumento militare perché è semplicemente impossibile. Oggi noi non sapremmo che coordinate dare ai nostri aeroplani, missili o droni perché semplicemente non ci sono obiettivi conosciuti. La situazione sul terreno è molto fluida, molto mutevole e molto sfuggente; avremmo solamente la certezza di combinare dei grossi pasticci. Se invece per “intervento” volessimo definire la protezione di qualche interesse specifico con piccoli nuclei di forza speciali, con l’intervento di qualche drone, per esempio per proteggere un interesse italiano, per fare attività di sorveglianza, allora in quel caso lo si potrebbe fare, ma non bisogna andare oltre questi obiettivi puntiformi, molto peculiari e molto pragmatici.

D. - Dunque l’intervento che forse si va delineando potrebbe avere molto probabilmente una natura economica, di interesse economico commerciale da parte dell’Italia?

R. - È evidente che in Libia ci sono degli interessi di natura economica commerciale importanti; uno su tutti l’Eni. Quindi forse, proteggere quello che c’è o le prospettive che si possono aprire, è un movente necessario e sufficiente non per un intervento militare su larga scala, ma per una protezione specifica di questi interessi. Guardi per esempio la diga di Mosul in Iraq: quello è un tipo di attività che potrebbe essere compatibile, ossia una ditta italiana – la Trevi – che sta facendo una grande opera di manutenzione su una diga il cui crollo farebbe morire un milione e mezzo di persone.

D. - Però lei dice: “una missione a guida italiana anti-Is in Libia in questo momento non porterebbe dei risultati, anzi aggraverebbe la situazione” …

R. - Intanto questa guida italiana non ho capito cosa significhi, a cosa si riferisca e se chi deve essere guidato è stato informato. Credo di no: leggevo stamattina una dichiarazione del presidente francese Hollande che diceva: “Dobbiamo agire in coordinamento con l’Italia”. Il coordinamento è una cosa, “guida” implica invece una gerarchia, di altro tipo, e già vedo che i francesi potrebbero cominciare a “tirare calci”. Quindi anche questo va tutto ridimensionato e chiarito, cosa che non è stata mai fatta.

D. - Quindi la condizione dovrebbe essere un mandato internazionale ben delineato e poi anche una richiesta da parte delle istituzioni libiche che in questo momento mancano…

R. - Ci vuole un governo nel pieno dei suoi poteri; un governo legittimo - che non si sa se ci sarà o non ci sarà nel prossimo futuro - che debba chiedere l’aiuto a Paesi, vedremo quali, per stabilizzare una situazione tuttora precaria. Su questa base l’Onu dovrebbe formulare una risoluzione con il suo Consiglio di sicurezza e chiarire i termini dell’intervento e su quella base poi edificare una missione.

D. - Secondo lei quale eventuale legame potrebbe esserci tra un intervento italiano in Libia e i risvolti legati alla sicurezza nazionale, all’emergenza terrorismo?

R. - C’è una connessione diretta di cui è stata data ampia prova anche di recente per cui un ruolo più attivo nel combattere il terrorismo comporta dei rischi domestici; lo abbiamo visto con la Russia, con la Turchia. Però direi che in Italia si può essere più confidenti che non succedano catastrofi come quelle che abbiamo visto, perché c’è sicuramente una rete di protezione più adeguata costituita dalla nostra organizzazione per combattere il terrorismo, per individuarlo, per fare prevenzione e quindi c’è da aspettarsi qualcosa, ma non certamente un tracollo del sistema.








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