2016-03-04 16:17:00

Libia, la guerra informale in corso non è guerra all'Is


"Non è stata un’azione che si inserisce in un programma di attacco contro il terrorismo, piuttosto una reazione delle istituzioni locali all’agenda internazionale, ossia a quella 'guerra al terrorismo senza se e senza ma' portata avanti anche prima dell'accordo per il governo di unità nazionale mediato dalle Nazioni Unite". Così Nancy Porsia - giornalista freelance basata in Libia da più di tre anni, fino alla settimana scorsa a Sabrata, in questi giorni in Tunisia - sulla uccisione dei due italiani della ditta Bonatti, Fausto Piano e Salvatore Failla. "Il grande momento di svolta - spiega Porsia - è avvenuto con il bombardamento degli Usa il 19 febbraio scorso. Fino a quel momento le istituzioni di Sabrata, sia militari che civili, negavano categoricamente la presenza dell’Is in città. Questo anche per via delle forti connessioni che ci sono tra gli ambienti criminali e i gruppi affiliati Is e pezzi delle istituzioni. All’indomani del bombardamento, le istituzioni hanno cominciato a fare coming out rinnegando tutto quello che avevano fatto circolare fino al giorno prima. Hanno lanciato l’allarme terrorismo in città e dopo 48 ore hanno ingaggiato lo scontro con i presunti terroristi in città. Da allora è partita la serie di scontri a fuoco durante i quali sono morti anche i nostri connazionali". 

Intervento militare dell'Italia in Libia: perplessità e rischi

L’ambasciatore americano a Roma considera auspica che sia l'Italia a guidare un'azione internazionale a sostegno del governo libico schierando fino a 5mila uomini. “In realtà questa è una cortina fumogena", commenta l'esperto di Libia Mattia Toaldo, analista per il Consiglio europeo delle Relazioni internazionali. "L’intervento militare in Libia c’è già. Lo stanno facendo gli americani dal giugno dell’anno scorso e francesi e britannici da alcuni mesi: un intervento fatto di droni, alcuni raid aerei, di cui la maggior parte non rivendicati, molte azioni delle forse speciali, molto sostegno a diverse milizie nella lotta allo Stato Islamico. L’Italia si aggiungerà a questa guerra informale, mentre l'impiego dei 5mila militari italiani riguarda una ipotesi molto remota il cui presupposto è che si formi un governo di unità nazionale e che questo chieda un aiuto da parte di una forza straniera per mantenere l’ordine e combattere il Califfato. In realtà il governo di unità nazionale è in altissimo mare, non si formerà nelle prossime settimane ed è molto improbabile che chieda un aiuto straniero perché la maggior parte dei libici lo rigetterebbe". 

Serve la guerra informale già in corso per sconfiggere Is?

"No - dichiara secco Toaldo - anzi rischia di essere controproducente perché avviene senza che si voglia creare prima un coordinamento tra i libici  e quindi è fatta di relazioni bilaterali tra americani e milizie di Misurata, oppure tra i francesi e il generale Haftar e così via e ogni soggetto si comporta pensando al proprio tornaconto particolare: promette di combattere l’Is in cambio di armi e di un riconoscimento implicito del proprio controllo sul territorio.  E’ uno scambio tra feudatari locali, non è una guerra all’Is. Questo rende ancora più difficile la formazione di un governo di unità nazionale, che è l’unica risposta possibile e seria per combattere lo Stato Islamico".

Quando si formerà un governo di unità nazionale?

"Lo scoglio finora è stato il generale Haftar, che vuole rimanere capo di Stato Maggiore, non vuole un ministro della difesa e in questo è appoggiato dall’Egitto. Purrtoppo grazie all’offensiva che ha condotto recentemente a Bengasi grazie ad aiuti francesi ed egiziani è diventato più forte e da allora il processo politico è bloccato. Sta all’Occidente decidere: se vuole agire sugli egiziani oppure se vuole commettere in Libia gli stessi errori commessi in Yemen o in altri paesi della regione dove si rinuncia ad avere una strategia politica e ci si limita a fare ogni tanto qualche attacco isolato contro i terroristi senza che questo abbia davvero degli effetti tangibili sull’estensione di queste organizzazioni terroristiche. In Yemen per esempio - conclude - Al Qaeda è più forte che mai".








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