2016-03-04 19:53:00

Liberati i due ostaggi italiani in Libia, Pollicardo e Calcagno


"Gli italiani liberati" in Libia, Gino Pollicardo e Filippo Calcagno, saranno rimpatriati “immediatamente una volta terminati gli interrogatori": lo ha assicurato il Consiglio militare di Sabrata. I due stanno fisicamente bene, ma si dicono “psicologicamente devastati”. Tante le incognite sul loro sequestro e sulla morte dei collegi Fausto Piano e Salvatore Failla. Intanto l’Italia si interroga su un eventuale intervento nel Paese nordafricano. Paolo Ondarza

Ancora fitta la nebbia sulla liberazione dei due tecnici italiani in Libia. Un blitz – racconta il capo del consiglio militare di Sabrata – ha consentito il rilascio di Gino Pollicardo e Filippo Calcagno. L’operazione avrebbe provocato la morte di nove persone  tra cui due donne kamikaze. "Stiamo discretamente bene, ma psicologicamente devastati. Abbiamo bisogno di tornare urgentemente a casa” fanno sapere i due. In un videomessaggio il loro volto appare provato, ma la barba incolta  non nasconde sentimenti contrastanti: il sollievo di chi è fuggito da un incubo e l’angoscia per chi non ce l’ha fatta: la morte dei due colleghi,  Fausto Piano e Salvatore Failla, sequestrati con loro a Mellitah nel luglio scorso in Libia, resta avvolta nel buio: forse giustiziati o usati come scudi umani. Oggi i loro corpi a Tripoli saranno sottoposti ad autopsia, poi il rientro in patria. Le tante incognite sul sequestro riflettono il caos della situazione libica. “lavorare per il successo del nuovo governo in Libia” è l’unica priorità per l’Italia fanno sapere fonti di Palazzo Chigi. Sull’ipotesi di  un eventuale intervento militare Roma invita alla prudenza, alla responsabilità e dice “no” ad accelerazioni giornalistiche.

 

Per una testimonianza dalla Libia, Antonella Palermo ha raggiunto telefonicamente a Tripoli Domenico Quirico, inviato del quotidiano "La Stampa":

   

R. – Descrivere il caos è una cosa semplice e nello stesso tempo assai complicata. Allora: la Libia è un arcobaleno che va dai banditi comuni che cercano di far denaro con sequestri, rapini e via dicendo, a coloro che hanno in mano le chiavi della cassaforte petrolifera e in mezzo tutta un’infinita varietà di gradazioni che è persino difficile raccogliere …

D. – Il capo delle forze speciali dell’esercito libico ha dichiarato che la battaglia decisiva a Bangasi è vicina e che non appena avrà preso tutta la città ci sarà la fine della guerra …

R. – Speriamo che sia così … Il problema è che lei ha citato il capo delle forze speciali, sì, ma di uno dei due governi di questo Paese. Poi deve aggiungere tutte le altre milizie che non c’entrano niente con i governi, e poi c’è l’Is, ci sono i salafiti e poi ci sono i tuareg e altri gruppi … Insomma, come dire: non è la guerra tradizionale, a Waterloo, una battaglia, un mattino e alla sera i francesi sono sconfitti, gli anglo-prussiani hanno vinto e la guerra è finita. Qua le guerre civili sono cose che si dilatano, sono delle metastasi e tagliare la metastasi non sempre è così semplice …

D. – L’Is che ruolo ha? E’ davvero l’unico, esclusivo pericolo?

R. – Guardi, il problema dell’Occidente, secondo me, è che non ha ancora compiuto l’atto fondatore… Si parla già di guerra e non ha ancora compiuto l’atto iniziale di questa storia, cioè stabilire chi sono i buoni e chi sono i cattivi. Uso una terminologia volutamente ottocentesca: prima definiamo, nella tribù di queste sigle, di questi gruppi, di queste persone, eccetera eccetera, chi sono i buoni e chi sono i cattivi, e poi procediamo. Nel senso che sicuramente le forze dell’islam totalitario sono tra i cattivi e sono tra coloro che vogliono nuocerci – ma dichiaratamente: non è che lo nascondono! – però, poi, prima di riuscire a trovare i buoni – ammesso che ci siano – bisogna fare una classificazione di tutti gli altri, ed è molto complesso.

D. – Concorda sul fatto che al momento mancherebbero i presupposti per un intervento militare in Libia da parte dell’Italia?

R. – Io non lo so, quanto l’Italia possa impiegare su un teatro di questo genere. Certamente, non credo che questo sia un posto dove puoi mandare quello che – come si dice oggi, va molto di moda – le forze speciali; una guerra è una cosa complicata, complessa, per cui ci va una logistica, ci vanno i mezzi finanziari, ci va una catena di comando, ci va tutta una serie di cose: la conoscenza del terreno, degli alleati locali … Cioè, nel 1912 siamo sbarcati qui, arrivando un mattino: una flotta immensa, le corazzate; prima hanno bombardato i forti turchi e poi i marinai dell’Ammiraglio Cagni sono scesi a terra, hanno messo un bandierone sul forte di Tripoli ed è finita lì. Non funziona più così … E comunque, nel 1912 avevamo un’armata gigantesca: gigantesca per l’epoca!, e anche bene attrezzata – cosa strana … Oggi, ce le abbiamo, queste possibilità? E con chi la facciamo, questa operazione?








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