2016-03-03 17:23:00

Giubileo, riscoprire Confessione come momento di gioia


Non padroni, ma ministri

Il sacramento della Riconciliazione, che il Papa ha messo al centro dell’Anno Santo straordinario della misericordia, richiede confessori preparati, consapevoli di non essere padroni ma solo ministri del sacramento e capaci di trasformarlo in un incontro con Cristo, quindi in un momento di vera gioia per il penitente. Alla vigilia della celebrazione delle “24 Ore per il Signore”, dedicata alla riscoperta della Riconciliazione, e in chiusura del 27mo Corso sul ‘Foro interno’ della Penitenzieria apostolica, rivolto ai confessori, don Luca Ferrari, Missionario della Misericordia e consulente del Dicastero della Nuova Evangelizzazione e mons. Krzysztof  Nykiel, Reggente della Penitenzieria Apostolica, si confrontano su questi temi.

Momento ecclesiale e di festa

Il segno più evidente del significato della celebrazione “24 Ore per il Signore” – spiega don Ferrari – è la presenza di numerosi laici che andranno per le strade della città invitando le persone a confessarsi. L’esperienza dice che molti, anche ‘lontani’, si dimostrano in queste occasioni assai interessati ad avviare un percorso di riconciliazione”. “Durante il Grande Giubileo del 2000 – spiega don Luca – fui incaricato di organizzare la celebrazione dedicata alla confessione al Circo Massimo. Allora, avemmo l’intuizione di proporre ai giovani il sacramento della Riconciliazione, non come momento individuale, ma come momento ecclesiale e soprattutto di festa, così come vogliono il Concilio e il Magistero. Ciò, in completa opposizione a una visione, purtroppo diffusa, della Confessione come momento d’isolamento, solitudine e mestizia”. “A partire da quell’evento, che riscosse un’incredibile partecipazione, S. Giovanni Paolo II affermò che bisognava rilanciare la Riconciliazione con maggiore fiducia, creatività e perseveranza”.

Confessori ‘penitenti’

“Ma per porre di nuovo al centro con convinzione il sacramento della Riconcilazione – spiega mons. Nykiel – è anche necessario ricordarsi che, come ammonisce il Papa nella Misericordiae Vultus, ‘non ci si improvvisa confessori’. Di fronte ai penitenti e a Dio abbiamo sempre una grande responsabilità: quella di essere veri, autentici, privilegiati, testimoni della Misericordia del Padre che non vuole la morte del peccatore, ma la sua conversione; vuole che sperimenti la sua tenerezza e abbia la vita in abbondanza”. “L’obiettivo dei corsi sul ‘Foro interno’, rivolti a seminaristi e sacerdoti – spiega ancora il Reggente della Penitenzieria – è proprio quello di formare i confessori affinché celebrino il sacramento come giudici misericordiosi, come medici che cercano di curare le ferite del penitente. Serve un’adeguata preparazione teologica, pastorale, spirituale e giuridica per mettere in pratica ciò che chiede il Papa. Ma serve anche che gli stessi confessori, da penitenti, siano capaci per primi di sperimentare, sulla loro pelle, la misericordia di Dio. Solo così, potremo essere davvero ‘comprensivi’ nei confronti dei penitenti. Non con una comprensione ‘falsa’, ma sempre ispirata al principio della ‘Caritas’ nella Verità”.    








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