2016-03-03 14:00:00

Fusione "Stampa" - "Repubblica". Pluralismo a rischio?


Accende i mercati l’accordo siglato ieri da Cir, la holding della famiglia De Benedetti, e Fiat Chrysler Automobiles che prevede la fusione di Itedi, società che possiede La Stampa e il Secolo XIX con il Gruppo Editoriale L’Espresso. Dopo oltre 40 anni Fiat esce dal capitale di Rcs. Il nuovo polo coprirà circa il 20% della informazione italiana, ma in un comunicato i due soggetti interessati spiegano che le testate manterranno piena indipendenza editoriale. Un incontro con i vertici è stato chiesto dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana che chiede garanzie sul fronte occupazionale. Ma quanto l’intesa mette a rischio il pluralismo nell’informazione? Paolo Ondarza lo ha chiesto a Ruben Razzante, docente di Diritto dell’Informazione all’Università Cattolica di Milano:

R. – Il pluralismo dell’informazione è garantito sia sul piano quantitativo che sul piano qualitativo dalla presenza di numerosi operatori, che competono ad armi pari sul mercato editoriale e che diffondono notizie secondo criteri di neutralità, di trasparenza, di rispetto della verità ed omaggio all’interesse pubblico dell’informazione. Adesso si tratta di capire se questa integrazione, che è una integrazione industriale e che non dovrebbe annullare l’autonomia delle singole testate, possa poi alla lunga produrre effetti negativi sul pluralismo, annullando le diversità che queste testate - La Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX, i 18 giornali locali del Gruppo L’Espresso, ma anche Radio Dj e le emittenti che sono coinvolte in questa fusione - hanno incarnato per anni.

D. – Da un punto di vista economico, c’è chi ha espresso anche la preoccupazione che questo accordo possa configurarsi come una sorta di cartello a svantaggio di una maggiore libertà di informazione…

R. – Il rischio indubbiamente c’è… Probabilmente siamo soltanto agli inizi di un processo di unificazione, ma si parla anche di altre fusioni: per esempio tra il Corriere e Il Sole 24 Ore; addirittura tra il Corriere e Il Messaggero, tra Il Tempo e QN… Si va ormai verso concentrazioni editoriali con economie di scala che dovrebbero ridurre i costi, favorire l’integrazione e le sinergie e quindi ridurre anche le voci. E questo sarà inevitabilmente un effetto che produrrà minore pluralismo, io credo, anche da un punto di vista qualitativo, perché è evidente che se tutte queste voci che si fondono saranno orientate prevalentemente verso determinate aree culturali, politiche e sociali, questo di fatto produrrà un impoverimento. Io pavento anche il rischio per il mercato giornalistico: temo che molti giornalisti che andranno in pensione non verranno rimpiazzati e questo creerà anche una sorta di imbuto nell’accesso alla professione giornalistica, che dovrà un po’ reinventarsi e che dovrà puntare molto di più sulla “rete” che non sui media tradizionali.

D. – La polemica sul conflitto di interessi ruotata negli anni scorsi attorno alla figura di Silvio Berlusconi, alla luce di questo accordo, si ripropone?

R. – I conflitti di interessi sono stati e sono sempre diversi in Italia. Nel caso di Berlusconi, quando ha ricoperto incarichi di governo, l’imbarazzo c’era e c’è stata una volontà politica insufficiente nel voler risolvere questo imbarazzo. Adesso non vedo conflitti di interesse altrettanto eclatanti ed incisivi sul mercato editoriale: non li vedo per la politica. Vedo, invece, altri conflitti di interesse che riguardano i poteri finanziari: l’invadenza delle banche nella gestione dei media; il fatto che i media siano con bilanci sofferenti e che quindi dipendano sempre più dai prestiti bancari è un’altra limitazione di libertà ed è un conflitto di interesse; così come ci sono degli editori che hanno dei business in altri mercati, come nel mercato energetico, nel mercato assicurativo, nel mercato delle costruzioni… L’Italia è un Paese che nel mondo editoriale ha dei conflitti di interesse evidenti.

D. – In attesa di una normativa nel merito si può dire che il web oggi garantisca una libertà di informazione che invece manca per quanto riguarda il giornalismo cartaceo?

R. – La garantisce in buona misura, perché aprire degli spazi di pluralismo nel web è relativamente più facile ed è soprattutto infinitamente più economico. C’è il problema del filtro di credibilità delle informazioni sul web: non tutto quello che esce sul web viene filtrato con criteri di deontologia giornalistica, di rispetto della verità dei fatti. Tuttavia ci sono moltissimi siti di informazione, ma anche moltissimi siti di controinformazione, che nel web veicolano delle notizie che nei media tradizionali non vengono diffuse, e questo perché rimangono fuori da questi circuiti dei media tradizionali, che sono condizionati dagli interessi che citavo prima.








All the contents on this site are copyrighted ©.