2016-02-27 14:13:00

In migliaia alla Via Crucis per le donne vittime della tratta


In Italia, le donne vittime della prostituzione coatta sono tra le 75 mila e le 120 mila, di cui il 37% minorenni, per lo più nigeriane e dei Paesi dell’Est Europa. Proprio per ricordare queste donne, ieri sera a Roma è stata realizzata la Via Crucis vivente, promossa dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, che ha percorso alcune vie del centro storico. Il servizio di Marina Tomarro:

“So che non ho scelta. E così mi consegno per 30 denari ai briganti”: è iniziata con queste parole la Via Crucis per le donne crocifisse, ragazze spesso minorenni, che arrivate da Paesi lontani piene di speranza si sono ritrovate nella disperazione sul ciglio di una strada, di notte, costrette a vendere il proprio corpo. Le preghiere si alternano ai pensieri di queste giovani vittime, che raccontano della solitudine che provano, la paura di quel buio che ogni sera le avvolge, la vergogna e la nostalgia forte nei confronti della famiglia lontana, e quel barlume di luce di riuscire forse un giorno a vivere una vita diversa. Sull'importanza di questa Via Crucis, ascoltiamo suor Eugenia Bonetti, responsabile dell'Ufficio Tratta Donne e Minori dell'Usmi, Unione Superiore Maggiori d'Italia: 

R. – E’ importante, perché loro – queste giovani – vivono la Via Crucis tutti i giorni. Quelle strade, quella sofferenza, quegli incontri, quella solitudine. Ecco, loro vivono veramente la Via Crucis quotidiana. Quindi il trovarci insieme per fare questo tragitto della Via Crucis, ricordando la loro sofferenza, la loro solitudine, la loro voglia anche di vivere, di risorgere e di vivere una vita diversa, ci dà la possibilità di essere sempre più coscienti che, purtroppo, nel 2016, queste nuove forme di schiavitù sono veramente una grande vergogna. In Italia ci sono migliaia e migliaia di donne schiave, di bambini schiavi. E allora, insieme, noi vogliamo poter gridare: “Mai più schiavi!”.

D. – C’è un modo per fermare questa tratta? Cosa si potrebbe fare di più?

R. – Guardi, per fermare la tratta, bisogna che prima di tutto noi si lavori molto sull’elemento culturale. Dobbiamo cambiare veramente le nostre modalità culturali. Tutti noi abbiamo una responsabilità. Perché solo cambiando questa mentalità, noi riusciremo a capire davvero che una persona non può essere semplicemente trattata come un oggetto usa e getta. Si parla tanto del rispetto, dell’emancipazione della donna, ma cosa ne abbiamo fatto di queste donne? Dove le abbiamo messe? Sui cigli delle strade. E questa è veramente una grande vergogna, che non possiamo più tollerare.

Nelle sette stazioni la Passione di Cristo si unisce alle loro sofferenze che, attraverso le varie tappe, ci raccontano cosa vuol dire essere tradite, vendute, rinnegate, fino alla morte in croce, rappresentata nella penultima stazione, anche in una struggente coreografia artistica dove è proprio una donna crocifissa a far suo l’ultimo grido di Gesù prima di spirare. Tanti i partecipanti. Ascoltiamo le loro voci:

R. – Quello che ci manca, secondo me, è la vera testimonianza della vita, quella vita che, anche se guardandola, non ci appartiene, invece è strettamente legata a noi. Il male che facciamo all’altro ricade su di noi, quindi è importante essere qui per iniziare a fare qualcosa davvero l’uno per l’altro. 

R. – E’ importante stare qui per dare voce a queste donne e poi per dare loro voce nei Paesi da cui vengono. Per esempio io sono del Camerun e la gente, i parenti, sono contenti di venire qui. Ma quando vengono qui trovano altre cose e non quello che gli è stato promesso – il lavoro e tutto il resto – e si trovano in mezzo alla strada. Diventa difficile uscirne, perché sono controllate.

R. – Avevo proprio voglia di esserci. Ero molto contenta di portarci i miei figli più grandi – hanno 9 e 10 anni – perché vedono tante donne cui è tolta la dignità sulla strada. Hanno privato tante donne della loro dignità. E quindi pensavo che fosse un’occasione, da mamma e anche da donna, per dare loro una risposta.

D. – Che cosa si può fare per educare al dramma della tratta? 

R. – Bisogna parlare chiaramente. Ci guadagnano in molti, infatti, sul loro sfruttamento. C’è tutto un sistema che si nutre del traffico di carne umana.

R. – Io ho già cominciato a parlarne in giro di queste cose e molti non ci credono. La cosa più importante è che queste testimonianze possano arrivare a tutti, proprio le testimonianze delle ragazze che lo vivono. Le parole degli altri, infatti, a volte non servono.

Spesso la resurrezione per queste ragazze è rappresentata proprio dall’incontro con chi può aiutarle a salvarsi dalla strada, come gli operatori della Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi. Ascoltiamo la testimonianza di Marina, una operatrice della comunità:

R. – A priori bisogna amarle. Quindi appena una ragazza sente che c’è una certa corrispondenza di amore, comincia ad aprirsi e ricomincia a vivere una nuova vita. E noi le accompagniamo in questo percorso di reinserimento nella vita sociale.

D. – Quali sono i primi passi di questo percorso?

R. – Riacquistare fiducia in se stesse, riacquistare la dignità che avevano perduto, proprio farle sentire amate. Questa è la cosa più grande per poterle aiutare.

D. – Quante ragazze accogliete di solito?

R. – Dipende: da quelle che escono dalla strada, da quelle che ci portano anche le forze dell’ordine. Noi facciamo le unità di strada e andiamo personalmente a visitare queste ragazze per cercare di convincerle ad uscire dalla strada. Siamo disponibili e cerchiamo di aiutare qualsiasi ragazza. Queste ragazze quando ci vedono sono diffidenti, perché dietro di loro ci sono delle persone che le sfruttano. Quindi sono molto diffidenti. Noi, dunque, dobbiamo andare con tanta carità, cercando di far capire il bene assoluto che vogliamo loro.








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