2016-02-27 13:02:00

Autismo. Nicoletti: più tutele per mio figlio ormai maggiorenne


Tommy ha appena compiuto 18 anni. È un “figliolone” vispo, che “sprizza salute e gioia da tutti i pori” e conosce l’equitazione, il rugby, il nuoto. Eppure il traguardo della maggiore età significa perdere quegli aiuti diventati per lui una routine: il pulmino giallo che lo accompagna a scuola o alle attività pomeridiane, il Centro di abilitazione e terapia. Tommy è infatti un ragazzo autistico, ma le tutele per giovani come lui sono previste dallo Stato italiano fino ai 18 anni. Ne parla il padre, il giornalista Gianluca Nicoletti, autore del libro “Alla fine qualcosa ci inventeremo”, intervistato da Giada Aquilino:

R. - Succede che Tommy improvvisamente è un essere umano a totale carico della famiglia: tutti i trattamenti specifici di riabilitazione che servono a mantenerlo vigile e a continuare ad esercitarlo nelle sue abilità finiscono, perché sono previsti soltanto fino all’età maggiore. In Italia infatti si parla soltanto di autismo infantile, non esiste l’autismo adulto, non esiste alcun psichiatra specializzato in questo. Non so per quale ragione, ma gli autistici sembrano essere tutti bambini che improvvisamente guariscono quando crescono. Viene da chiedersi: mio figlio ancora fa il liceo – potrà farlo per un altro anno, per altri due anni forse, se riesco a farlo bocciare! – poi, finita anche la scuola dell’obbligo, cosa farà la mattina? Andrà a finire in quei Centri diurni che sono dei “parcheggi”, in attesa magari che i genitori non siano più in grado di gestirlo. Si tratta di posti dove, soltanto quando un magistrato ci mette delle telecamere di sorveglianza, si capisce in realtà come siano dei manicomi camuffati, mascherati. Quindi non posso fare altrimenti: da oggi ricomincia la mia battaglia perché anche gli autistici adulti abbiano diritto comunque al loro posto nella società.

D. - Quindi per Tommy di fatto che rischi ci sono? Di solitudine? Di inattività?

R. - Il rischio c’è per qualunque disabile psichiatrico: quando non avrà più la sua famiglia alle spalle, dove andrà a finire? Qual è il suo destino? Esistono Centri specializzati per autistici, dove sull’autismo si continua a fare un lavoro che deve durare per tutta la vita, di riabilitazione, di specifica attività comportamentale sulle loro abilità? No! Finiscono in una grande stanza dove c’è di tutto e di tutte le età e naturalmente per loro finisce la vita. Non posso sopravvivere all’incubo che mio figlio quando non ci sarò più, sarà chiuso in un manicomio. Quindi cercherò il modo affinché questo cambi. Può cambiare, ci sono gli strumenti per cambiare.

D. - Viene da chiedersi come sia possibile che uno Stato - che di continuo discute di diritti, di welfare - poi non preveda tutele, assistenza e sostegno per questi ragazzi…

R. - È molto triste dirlo: la gestione di un disabile psichiatrico è un bell’affare. Avercene tanti significa avere un budget che va tra i 200 e i 300 euro al giorno e naturalmente, se si vuole massimizzare la propria attività, li mette a disposizione di persone non specializzate. In Italia non esiste l’idea che ci sia una categoria specializzata, formata, di operatori che si occupano di persone con delle disabilità di tipo relazionale e cognitivo. Adesso stanno lavorando su una legge sul “dopo di noi”: spero sia una legge saggia, che permetta alle famiglie di fare dei piani personalizzati, di creare delle idee di gestione più umana, non in luoghi che siano come una discarica per esseri umani, ma luoghi specializzati.

D. - La Legge 104 del 1992 vi aiuta?

R. - Dà una piccola pensione ai ragazzi e questo ci aiuta, abbiamo alcuni vantaggi. Abbiamo il permesso di portarlo in giro con l’automobile. Se lavoriamo, abbiamo diritto ad alcuni giorni l’anno per poterci occupare dei nostri figli. Questo aiuta, ma la vita di un essere umano va ben oltre questi benefit; siccome lo Stato spende soldi per queste persone, quando non saranno più sotto la gestione della famiglia vogliamo che questi soldi - senza aggiungere nulla - siano impiegati in progetti che abbiano dimensione umana.

D. - Papa Francesco, parlando dell’autismo, ha esortato a un impegno per “rompere l’isolamento” e in molti casi anche “lo stigma” che grava sulle persone affette da disturbi dello spettro autistico, come spesso anche sulle loro famiglie. Isolamento e stigma: come superarli?

R. - Attraverso la diffusione di una cultura sulla disabilità. Quando la famiglia ha la percezione che un figlio ha qualcosa di diverso dagli altri, in questo caso la disabilità, è molto difficile da definire, perché inizia graduale nei comportamenti, che si tendono sempre a minimizzare. Bisogna prendere il coraggio di farsi carico di questo problema. Si deve trovare subito il modo di fare coordinamento, gruppo con persone che hanno lo stesso problema e poi cominciare a trovare dei gruppi di riferimento certi. Qui manca una mediazione sicura per indicare alle famiglie quali siano i punti di riferimento certi. Non sono moltissimi nel nostro Paese, ma ci sono. Papa Francesco ha lanciato sicuramente una sfida molto grande. Spero che la raccolgano anche le persone che, attraverso gli strumenti di delega che la politica dà loro, lavorino poi su leggi seriamente mirate alla dignità e alla vita decorosa di queste persone.

D. - Auguri dunque a Tommy. Ma poi qual è l’augurio migliore da fargli?

R. - L’augurio migliore è che oggi facciamo una festa per festeggiare il fatto che lui è maggiorenne e “non è più autistico”: è paradossale. Sarà una festa insieme a tanti ragazzi, alcuni autistici, altri no, amici, genitori. Iniziamo la parte più difficile della nostra vita facendo una grande festa: questo vuole essere un segno di ottimismo non di abbattimento.








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