2016-02-24 14:48:00

Libia, barbare esecuzioni dell'Is. Italia appoggio a Usa


Forze francesi in campo a Bengasi contro lo Stato islamico, mentre il voto di fiducia al governo di concordia nazionale ha subito l’ennesimo rinvio: Parigi avrebbe già effettuato i primi raid, mentre l’Italia ha dato il via libera all’uso delle basi di Sigonella per i droni americani. Se dovesse emergere qualche minaccia diretta non esiteremo ad agire, fa sapere la Casa Bianca. Sul terreno intanto il fronte caldo pare essere di nuovo la città di Sabrata. Cecilia Seppia: 

In Libia la situazione è tutt’altro che definita e la diplomazia internazionale cerca la quadra attorno ad un “piano B” contro il terrorismo. L’esercito libico infatti avanza a Bengasi e ormai ha liberato gran parte della città dalle mani dell’Is, ma i jihadisti stamattina hanno occupato con un blitz il centro di Sabrata, decapitando 12 guardie. Ai movimenti sul terreno si somma l’ennesimo rinvio del voto di fiducia al governo di riconciliazione da parte del parlamento di Tobruk, anche se il premier incaricato al Serraj pare aver incassato il sì di 100 deputati. La notizia che rimbalza sui media, traghettata da Le Monde, è quella della cosiddetta “guerra segreta” che la Francia da sola starebbe già conducendo in Libia con forze speciali e operazioni clandestine in appoggio alle truppe del generale Khalifa Haftar soprattutto a Bengasi. Washington intanto sembra intenzionata a puntare su Tripoli abbandonando Tobruk, visto appunto l’ennesimo scoraggiante rinvio, ma è comunque pronta a mostrare i muscoli in caso di minacce terroristiche. L’Italia invece ha dato il via libera all’uso delle basi di Sigonella per i droni americani d’attacco. A confermarlo il ministro della Difesa Pinotti, mentre il capo della Farnesina Gentiloni ribadisce: la soluzione della crisi in Libia non è in improbabili missioni militari, ma al fianco della popolazione e con un nuovo governo.

Sulla potenza effettiva dell'Is a partire da quanto accaduto a Sabrata, Gabriella Ceraso ha raccolto il parere di Antonio Maria Morone, docente di Storia e istituzioni dell'Africa all’Univeristà di Pavia:

R. – In effetti, a Sabrata sono state documentate attività chiamiamole "jihadiste", perlomeno a partire dal 2012. Evidentemente, questo trend dimostra una grande capacità dell’Is di radicarsi in punti sensibili del Paese. Negli ultimi mesi, questa capacità si è ampliata e si è sempre più messa in contatto con una "internazionale della jihad", che è sempre più una multinazionale: tunisini, siriani, probabilmente afghani, persone che provengono dall’Africa subsahariana, legati sia con Boko Haram che con altri movimenti jihadisti nell’area sahelo-sahariana.

D. – Ma la loro presenza giustifica un intervento militare internazionale più compatto, visto che intanto a livello di governo e di gestione politica siamo lontanissimi da un controllo?

R. – Io personalmente rimango dell’idea che un intervento di ampio respiro in Libia non sia la soluzione, anzi probabilmente aggraverebbe la situazione nella misura in cui di fronte a un intervento internazionale – che per molti libici sarebbe comunque vissuto come una aggressione, specie dopo un lungo percorso di rivolta interna contro il regime – questo intervento internazionale non farebbe altro che portare un’amplissima parte della popolazione, che oggi è neutrale o tiepida verso l’appello dell’Is, verso quel tipo di appello e probabilmente causerebbe l'unione intorno all’Is di una coalizione sempre più ampia di forze contro l’intervento occidentale.

D. – E’ di queste ore la discussione in Italia del “sì" da parte di Renzi a droni da Sigonella, droni ovviamente armati e statunitensi, con determinate limitazioni. Che giudizio dà su questa decisione italiana?

R. – L’Italia dimostra di essere sempre perlomeno a disagio, diciamo così, rispetto alla Libia. Fin dal 2011, e quindi con una certa continuità, l’Italia ha sempre avuto un atteggiamento molto defilato e direi a tratti ambiguo sull’intervento, tanto più che noi nel 2008 avevamo firmato un Trattato nel quale ribadivamo il nostro impegno come Paese a non fornire il nostro territorio nazionale per eventuali aggressioni contro la Libia. Si è venuto meno a questo accordo già nel 2011 e verosimilmente questo continua a essere fatto, ma con una indecisione di fondo: da un lato si vorrebbe evitare un intervento, perché si sa bene che l’Italia, in quel caso, non potrà che essere in prima fila. Dall’altra parte, però, l’Italia non ha il peso politico per dire definitivamente un “no” a un intervento internazionale in Libia e aprire a una altra soluzione prettamente politica.

D. – Quindi, questa decisione del premier è un “nì”?

R. – Direi propri di sì. E' una posizione che sembra sempre al seguito di altri, piuttosto che imporre una linea italiana cui eventualmente altri Paesi potrebbero aderire.








All the contents on this site are copyrighted ©.