2016-02-20 11:18:00

Giornata Giustizia Sociale. Onu: impegno a combattere diseguaglianze


Si celebra oggi la Giornata mondiale della giustizia sociale, istituita dall’Onu nel 2007 per invitare gli Stati membri a riflettere su temi come lo sviluppo sociale, la povertà, le disuguaglianze e su tutti quei fattori che creano distanze tra gli uomini. Il tema di quest’anno è la lotta al traffico di esseri umani e alle moderne forme di schiavitù. Dinamiche che accompagnano un’epoca di crisi, conflitti e imponenti migrazioni, in una continua e spesso caotica globalizzazione economica, culturale e sociale, con un’Europa sempre più sottoposta alla pressione del cambiamento del mondo che la circonda. Stefano Pesce ha chiesto un commento a Giuseppe Iuliano, responsabile del Dipartimento politiche internazionali della Cisl:

R. – Noi, come espressioni del movimento sindacale che crede nei diritti umani fondamentali e nei diritti soprattutto dei lavoratori, che ancora oggi rappresentano la parte più debole della società, non possiamo che salutare un’iniziativa del genere. Stiamo sottolineando il rapporto forte tra diritti individuali e diritti collettivi. E oggi, grandi fasce di popolazioni dell’umanità hanno bisogno di maggiore attenzione da parte di tutta la comunità internazionale.

D. – Giustizia sociale, crisi umanitarie, migrazioni e sfruttamento del lavoro: sono termini che mai come in quest’epoca viaggiano su uno stesso binario…

R. – Bisogna distinguere la realtà dalla percezione della realtà. Nel 2014, in un Paese come l’Italia, sono stati più gli italiani che hanno lasciato il nostro Paese che i migranti che vi sono entrati. Purtroppo è vero che la concentrazione del fenomeno su tutte le frontiere esterne dell’Unione Europea sta mettendo in discussione il principio di Schengen, e quindi uno dei principi fondanti dell’Ue: quello della libera circolazione. Noi dobbiamo salvaguardare questo principio e nello stesso tempo in qualche modo permettere che non si perda lo spirito dell’accoglienza. Sono persone che scappano da situazioni di guerra, di tortura, di pericolo per la loro dignità di persone; e quindi cercano accoglienza per la sopravvivenza soprattutto, per se stessi e per le proprie famiglie.

D. – Per il perseguimento della giustizia sociale, la globalizzazione è un tema fondante. L’Onu ha adottato la “Dichiarazione sulla Giustizia Sociale per una Globalizzazione Giusta”. Ma che cos’è la “globalizzazione giusta”?

R. – Una globalizzazione giusta è quella che mentre favorisce, abbatte barriere, toglie dogane, permette anche che le persone possano essere riconosciute con tutta la loro piena dignità nella circolazione, nei loro diritti. Per 50, forse 70 anni, il diritto di cittadinanza è stato legato all’identità sociale, a un lavoro e a un territorio. Ecco, la globalizzazione ha messo in discussione tutto questo: oggi non c’è più un’identità sociale che si riconosce con un diritto di cittadinanza, con un lavoro e con un territorio, perché le persone sono costrette a cambiare lavori durante la propria vita, a spostarsi per poter cercare lavoro. Allora dobbiamo cercare un nuovo contratto sociale per questo nuovo millennio: che possa ricostruire un Welfare, così come abbiamo potuto sperimentare in momenti di ricostruzione della democrazia, per esempio dopo l’ultimo conflitto mondiale.

D. – Com’è possibile conciliare il tema della giustizia sociale con il fatto che, ad oggi, la metà di tutta la ricchezza generata nel mondo è nelle mani dell’1% della popolazione?

R. – C’è da dire una cosa: mai come in questa fase della storia dell’umanità il mondo è capace di produrre ricchezza. Eppure, mai come in questa fase, il mondo è nella incapacità di distribuirla questa ricchezza prodotta. È un problema di distribuzione, è un problema politico: quindi è nelle mani degli uomini, dei decisori. Noi dobbiamo far sì che la distribuzione della ricchezza possa passare dalla semplice speculazione finanziaria, da chi beneficia di questa a chi invece lavora ed opera. Ecco perché una giornata come questa è un monito per tutti coloro che operano nella politica.








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