“Auspichiamo che il nuovo governo lavori alla riconciliazione nazionale e che la pace ed il cessate-il-fuoco siano una sua priorità”: è quanto afferma il card. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, in Myanmar, in un’intervista rilasciata ad “Eglise d’Asie”. In particolare, il porporato fa riferimento alle sfide che si trova davanti il partito “Lega nazionale per la democrazia”, guidato da Aung San Suu Kyi, vincitore a larga maggioranza delle legislative svoltesi l’8 novembre scorso.
Promuovere la giustizia attraverso il perdono
“Il nuovo esecutivo – sottolinea il card. Bo – dovrà lavorare anche alla questione
della ridistribuzione delle risorse naturali e porre fine al progetto di costruzione
di una diga a Myitsone, nello Stato kaichin”, contrastato dall’Esercito per l’indipendenza
kachin (Kia). “Se tale progetto non verrà abbandonato – spiega infatti il porporato
– allora sarà molto difficile trovare un accordo di pace con il Kia”. Naturalmente,
l’arcivescovo di Yangon si dice consapevole del fatto che “la riconciliazione è un
processo difficile” e per questo esorta a “fare opera di giustizia così come si fa
nella religione”, ovvero “esortando la gente al perdono, anche in relazione al Giubileo
straordinario della misericordia” in corso in questi mesi”.
Più attenzione per la minoranza dei rohingya
Altra priorità del nuovo governo, continua il card. Bo, dovrà essere la questione
rohingya, gruppo etnico poverissimo di fede musulmana, non riconosciuto come minoranza,
sistematicamente discriminato, al quale non è mai stata concessa la cittadinanza.
Per esso, il porporato auspica una soluzione specifica: “Una sola legge generale,
come quella sulla cittadinanza risalente al 1982, non basta – spiega - Occorre invece
valutare i singoli casi, perché ci sono rohingya nati in Myanmar e rohingya arrivati
nel Paese più recentemente, provenienti dal Bangladesh”.
Rivedere le leggi su razza e religione
Il card. Bo si sofferma, poi, sulle quattro “Leggi a difesa della razza e della religione”
approvate ad agosto 2015 dal Parlamento allora in carica, su pressione di frange buddhiste.
Tali normative comprendono misure contro i matrimoni misti, le conversioni religiose
e la poligamia e per il controllo delle nascite ed hanno destato molta preoccupazione
nella Chiesa cattolica locale. “Occorre emendarle e redigerle in modo più tollerante,
affinché siano accettabili anche per i cristiani”, spiega il porporato, che poi auspica
che gli impiegati del Ministero per gli Affari religiosi non siano unicamente buddisti.
“In un Paese veramente democratico – spiega – il Ministero deve trattare tutte le
religioni allo stesso modo”.
Maggiore libertà per la Chiesa cattolica nel settore educativo
Per la Chiesa cattolica, poi, l’arcivescovo di Yangon auspica “maggiore libertà nell’opera
di evangelizzazione” e maggiori sforzi per un sistema educativo “decentralizzato”
che permetta anche ai cattolici di gestire, ufficialmente, le proprie scuole, così
come di costruirne delle nuove e di ottenere la restituzione degli istituti educativi
nazionalizzati dopo il colpo di Stato del 1962. Uguale trattamento in quest’ambito
viene auspicato per tutte le religioni. “Sono certo – afferma il porporato – che le
nostre proposte ed i nostri consigli saranno ascoltati” dal nuovo governo, che ha
manifestato la volontà di prestare attenzione “ai diversi rappresentanti religiosi
del Paese”.
Auspicato l’avvio di relazioni diplomatiche tra Myanmar e Santa Sede
Infine, il card. Bo esprime il desiderio che il Myanmar stabilisca relazioni diplomatiche
con la Santa Sede: “Aung San Suu Kyi sostiene questa idea ed io ne sono felice”, conclude
l’arcivescovo di Yangon, ricordando che la donna ha incontrato Papa Francesco in Vaticano
nell’ottobre 2013. In quell’occasione, il Pontefice aveva incoraggiato ed apprezzato
il contributo “per la democrazia e la pace” offerto da Aung San Suu Kyi al Myanmar,
esprimendo grande sintonia con la sua figura, soprattutto su temi portanti del Pontificato,
come la cultura dell’incontro ed il dialogo interreligioso. (A cura di Isabella
Piro)
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