2016-02-16 14:04:00

Papa in Messico, parole dalla parte degli ultimi


Riconoscimento epocale per la pastorale indigena

“Le parole rivolte dal Papa alle comunità indigene del Chiapas assumono un significato epocale”. Lo afferma don Alberto Vitali, responsabile dell’Ufficio per la pastorale dei migranti della diocesi di Milano, autore de libro “Il vescovo del Chiapas. Vita di Samuel Ruiz detto Tatic”, edizioni EMI. “E’ dai tempi del Concilio - spiega il sacerdote - che si è avviata una riflessione sulle colpe storiche, non solo dei popoli colonizzatori, ma della stessa Chiesa nei confronti degli indios. Accanto a fulgidi esempi di sacerdoti che si sono messi dalla parte delle popolazioni indigene, come Bartolomé de Las Casas, è altrettanto vero che una sorta di paternalismo nei loro confronti ha tradito la presunzione europea di considerarle incapaci di assumere in prima persona l’annuncio del Vangelo”. “I pochi sacerdoti indios ordinati – racconta il sacerdote – hanno spesso riferito di essere stati spinti a compiere un cammino di purificazione della loro cultura per assumere quella europea”. “Negli ultimi anni invece – aggiunge don Vitali -  soprattutto dopo la conferenza di Medellin (1968),  alcune chiese locali, come quella di  San Cristóbal de Las Casas del vescovo Samuel Ruiz, hanno promosso una vera e propria pastorale indigena, e non idigenista, dove i popoli indigeni sono considerati ‘soggetti’ della fede”. “Il fatto che il Papa oggi riabiliti la loro cultura e chieda perdono agli indios è, insieme, il riconoscimento di questo cammino e una consacrazione del loro mandato come testimoni del Vangelo nel mondo di oggi”.

Una denuncia per ridare dignità alle vittime

“Il parlare chiaro del Papa sul narcotraffico, la corruzione, il bisogno di trasparenza, di fronte al presidente Neto mi pare sia una grande fonte di speranza e consolazione per il popolo messicano che, negli ultimi dieci anni in particolare, è stato molto provato dalla violenza”.  A ricordarlo è Lucia Capuzzi, giornalista esperta di politica latino-americana, che come inviata del quotidiano Avvenire segue il 12mo viaggio apostolico di Papa Francesco. “Denunciare in un incontro ufficiale la corruzione, il narcotraffico, l’esclusione delle culture diverse, la violenza, le morti, il traffico di persone e i sequestri, come ha fatto il Papa, – spiega la Capuzzi – significa mettere in primo piano la guerra, assolutamente dimenticata dai media e dalla politica internazionale, che caratterizza la storia del Messico da almeno dieci anni. Qui sono morte oltre duecentomila persone, in gran maggioranza civili, intrappolati nella violenza tra le varie organizzazione criminali, i famosi ‘narcos’, ma con la complicità attiva di ‘pezzi di stato corrotto’. Il caso dei 43 studenti di Iguala, consegnati dalla polizia ai narcotrafficanti che poi li hanno fatti scomparire, non è che la punta dell’iceberg di un meccanismo che si ripete molte volte nel Paese”. “Tanto è vero – spiega la Capuzzi – che la prima cosa che dicono i messicani a chi viene nel loro Paese è: ‘per qualunque cosa non rivolgetevi alla polizia’. Parlare di questi temi apertamente, come fa il Papa, significa mettersi dalla parte delle vittime, dire loro che non sono sole e dare loro dignità”. 








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