2016-02-15 14:51:00

Afghanistan: 2015, anno record di vittime tra i civili


Nel 2015 il numero delle vittime civili nel conflitto in Afghanistan è stato il più alto mai registrato ufficialmente: 11mila, di cui oltre 3500 i morti, il 4% in più rispetto all’anno precedente. E' quanto emerge dal Rapporto annuale 2015 dell'Onu sulla Protezione dei civili nei conflitti armati. Una guerra dimenticata quella in Afghanistan e che non sembra vicina a una soluzione, al contrario, nel già complesso rapporto di forza tra le fragili autorità governative e i ben radicati gruppi talebani, sembra inserirsi un nuovo attore: il sedicente Stato Islamico, intento a sfruttare le contrapposizioni interne ai Talebani dopo la morte del loro leader Mullah Omar. Stefano Pesce ha raccolto il commento di Francesca Manenti, analista del Centro Studi Internazionali:

R. – Il conflitto in Afghanistan, che vede la contrapposizione tra il governo centrale e l’insorgenza talebana, sta portando all’interno del territorio a una situazione sempre più deteriorante, sempre più tragica. Le cifre menzionate dal rapporto delle Nazioni Unite sono il dato più evidente di quella che è una crisi sociale, una vera e propria crisi sociale che ha risvolti anche come crisi umanitaria.

D. – La situazione interna in Afghanistan è una situazione molto delicata: ogni qualvolta si cerchi un confronto tra talebani e forze governative, accade qualcosa che destabilizza tutto il Paese e quindi rompe, ogni volta, i negoziati in corso …

R. – Negli ultimi mesi si è tentato più volte di fare passi in avanti per cercare di portare intorno a un tavolo il governo afghano da una parte, la rappresentanza politica dell’insorgenza talebana dall’altro, con tutta una serie di interlocutori internazionali quali la Cina, gli Stati Uniti, il Pakistan … Purtroppo, però, gli equilibri che attualmente vedono ancora l’insorgenza talebana in netto vantaggio nella sfida alle autorità centrali sta creando grandi difficoltà a qualsiasi tentativo di processo di dialogo.

D. – Per quanto riguarda la corrente talebana, attualmente è in corso una lotta intestina tra i fedeli del defunto mullah Omar e coloro i quali invece supportano l’attuale leader Mansur. Sembra che il sedicente Stato Islamico si stia innestando in questa frattura interna ai talebani: in che modo?

R. – C’era stato già nei mesi precedenti l’annuncio della morte del mullah Omar, l’annuncio della formazione di questa cosiddetta branca “Khorasan” del cosiddetto Stato islamico. Al momento, però, il gruppo rimane piuttosto poco operativo. Si tratta però di un risvolto che ha inevitabilmente poi delle ripercussioni sulle condizioni di sicurezza interna: perché se già il territorio è profondamente scosso dalla lotta tra insorgenza e autorità centrali, possiamo immaginare quanto questo possa ulteriormente aggravarsi se gli scontri avvengono anche all’interno dell’insorgenza talebana stessa. Molte delle vittime civili provocate in questo anno di conflitto sono causate anche da questi scontri intestini all’insorgenza stessa.

D. – Se consideriamo la fascia che, appunto, va dalla Siria all’Afghanistan, parliamo di un’area che sta subendo violenze incredibili: si parla di decine di migliaia di morti e milioni di sfollati, intere generazioni che hanno perso il loro futuro …

R. – Le statistiche e i dati numerici sono sempre la cartina di tornasole di quella che poi è una vera e propria crisi umanitaria, una crisi sociale: il numero delle vittime e il numero degli sfollati vanno a dare l’idea di quanto poi l’aspetto militare di un conflitto sia sempre una parte, ma che ci sia poi inevitabilmente una parte sociale, una parte umana che ogni tanto viene messa da parte. Ed è questa l’importanza di  avere sempre in mente una strategia politica, quando si decide di intervenire o di approcciare una crisi all’interno di un Paese, quale può essere stata – ad esempio – la crisi siriana. Andare a colmare la parte operativa con una strategia di lungo termine e di ampio respiro, potrà sicuramente andare ad arginare quella che al momento sembra essere una vera e propria tragedia umanitaria.








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