2016-02-13 13:38:00

Siria: Ankara e Riad pronte a operazioni di terra contro Is


Si fa più concreta l’ipotesi di un intervento di terra in Siria da parte di Arabia Saudita e Turchia contro il sedicente Stato islamico, conflitto che non rientra nei termini dell’accordo sul cessate il fuoco – che partirà il 19 febbraio prossimo - raggiunto giovedì scorso a Monaco di Baviera. Sempre da Monaco, il premier francese Manuel Valls ha chiesto a Mosca di cessare i bombardamenti contro la popolazione. “Combatteremo fino alla vittoria – è stato il commento del Presidente siriano Bashar al-Assad – riconquisterò il Paese anche se ci vorrà molto tempo”. Quale sarà il suo ruolo, d’ora in poi, nella crisi siriana? Roberta Barbi lo ha domandato ad Alberto Negri, esperto dell’area mediorientale per “Il Sole 24 Ore”:

R. – L’accordo di Monaco è un accordo fragile: è un accordo che è intercorso tra gli Stati Uniti e la Russia, e che stabilisce una sorta di cooperazione, anche politica, tra Washington e Mosca. Però bisogna vedere cosa faranno le fazioni in campo. Innanzitutto l’accordo non riguarda lo Stato islamico - il Califfato - e neppure Jabhat Al-Nusra; quindi, questo non significa affatto la fine dei bombardamenti ad Aleppo, intorno a quell’area. E poi c’è l’altro aspetto politico importante: le fazioni filo-saudite per il momento non hanno ancora accettato questa intesa. È evidente che l’accordo, prima che entri in vigore dovrà passare una settimana, e questa non sarà una settimana di pace: sarà già tanto se in qualche modo arriveranno aiuti umanitari nelle aree dove la popolazione sta soffrendo di più.

D. – Il ruolo di Assad è quindi più che mai centrale. Proprio dalla Conferenza di Monaco, in cui è stata siglata l’intesa, il ministro degli Esteri saudita ha affermato che rimuovere il Presidente siriano è obiettivo primario di Riyad, e che la lotta contro lo Stato islamico deve passare per forza attraverso la sua uscita di scena…

R. – Non riguarda solo i sauditi. Riguarda anche un altro attore e protagonista importante di questa guerra e di questa crisi: la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan. I turchi in pratica hanno visto frustrati tutti i loro obiettivi: loro pensavano di poter instaurare una sorta di zona di sicurezza, accompagnata anche da una “no-fly zone” (una zona di non sorvolo), ma gli Stati Uniti non gliel’hanno mai concesso; tanto più che adesso significherebbe andare a contatto stretto con i russi e con l’esercito di Assad. Non solo, ma la Turchia si è trovata alle porte di casa i curdi siriani, sostenuti da Assad e da Mosca, ma anche dall’America, che sono più forti che mai: cioè sono davanti a un’opportunità forse storica della loro vicenda. Assad non può essere buttato via dall’oggi all’indomani. Oltretutto i russi sono stati anche abbastanza chiari: il ruolo di Assad è ancora importante in quella che viene chiamata la “transizione”, una transizione che non si vede ancora, ma che fa prevedere che perlomeno un altro anno, anno e mezzo, Bashar al-Assad resta dov’è.

D. – Allo stato attuale, qual è verosimilmente il futuro politico del Presidente siriano?

R. – Secondo me il futuro politico è ancora abbastanza lungo, per quelli che sono i tempi mediorientali; nel senso che appunto c’è ancora tutto da vedere se durerà questo cessate-il-fuoco, se s’instaurerà quest’ultimo, e quanto durerà. Poi ci sono i negoziati di Ginevra, dove comunque è parte delle trattative, insieme ad altre fazioni. Oltretutto una certa parte delle stesse fazioni non erano ancora state invitate nella prima tornata di colloqui da Staffan de Mistura: per esempio i curdi siriani. Fare i negoziati senza questi ultimi appare abbastanza improbabile. Quindi c’è ancora da definire tutto il quadro delle fazioni che si siederanno al tavolo; e poi c’è da delineare quale può essere il futuro del Paese. Se, naturalmente, l’Arabia Saudita e la Turchia continueranno a insistere per l’uscita di scena di Assad, allora forse potrebbe esserci anche un negoziato su questo. Ma questo negoziato non porta di certo alla fine di Bashar Al-Assad quest’anno.








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