2016-02-13 14:58:00

Ordine di Malta: oltre 500 vite salvate nella missione nell'Egeo


“E liberali dal Mare”: è la campagna avviata dal Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta per sensibilizzare sul destino in mare di tanti migranti e per sostenere la nuova missione di soccorso del Cisom nell’Egeo. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

Sono ormai due mesi che ha preso il via la nuova missione umanitaria dell’Ordine di Malta nel Mar Egeo. Il team del Cisom, il Corpo italiano di soccorso dello Smom, a bordo del Responder, nave dell’organizzazione umanitaria Moas (Migrant Offshore Aid Station), finora ha tratto in salvo 529 persone, di cui 59 bambini, tutti assistiti dalle squadre sanitarie, composte da medico e infermiere. “Mi sento in dovere di far sentire a casa, per quanto possibile, chiunque lo chieda, non importa quanti, come e da dove: noi ci siamo”. Questo lo spirito di missione di Giada Bellanca, medico del Cisom, impegnata nello scenario dell’Egeo dopo aver trascorso molto tempo in quello dello Stretto di Sicilia:

D. - Lavorare in Egeo significa lavorare in un ambiente geograficamente diverso dalle nostre abitudini, perché l’Egeo è un mare piccolo, chiuso, le distanze geografiche tra i confini turchi e i confini greci sono minimi, soltanto poche miglia; parliamo di una costellazione di 400 tra isole e isolette abitate e nella maggior parte disabitate; parliamo di un mare dove il cambiamento climatico e le correnti sono repentine; parliamo di un flusso migratorio fatto con gommoni piccolissimi, con una media di 40-50-60 persone a bordo, e un gommone del genere anche con un mare 2 o un mare 3 rischia il naufragio. La cosa peggiore per questi gruppi che fuggono con la speranza di arrivare a breve, perché vedono l’altra costa e quindi c’è l’illusione, è il non rendersi conto del vero pericolo che sono gli scogli a fior d’acqua vicino le isole, là tutta la zona è a basso fondale. Il rischio è enorme, perché a squarciare un tubolare di un gommoncino fatto di nulla non ci vuole niente! E la maggioranza non sa nuotare. Per noi tutto questo è uno stress psicologico perché, se per alcuni aspetti la vicinanza alle coste può essere un pro enorme per l’arrivo dei migranti, minore è la distanza, minore devono essere i tempi di salvataggio, tutto deve essere fatto nell’arco di pochissime ore e, a volte, anche soltanto nell’arco di mezz’ora. Quindi, noi dobbiamo essere sempre pronti e avere mille occhi, perché si parla di 400 isolette e l’assetto navale è minimo.

D. – Per voi, che avete operato in tutti e due gli scenari, è cambiata la tipologia del migrante che incontrate?

R. – I flussi migratori lì sono diversi rispetto a quelli del Mediterraneo, in quanto non abbiamo il flusso centrafricano, il flusso nordafricano e il flusso del Corno d’Africa, quindi di tutta quella parte che va dalla Somalia all’Eritrea e all’Etiopia. Statisticamente il flusso dell’Egeo è un flusso di siriani. Abbiamo poi un 20 per cento proveniente da altri Stati, a me sono capitati anche iracheni, afghani, anche curdi, che fanno parte di questo flusso migratorio che sta cambiando: cambia la storia e cambia il flusso migratorio.

L’organizzazione umanitaria Moas è stata fondata da Christopher e Regina Catrambone, due imprenditori italo-americani che vivono a Malta. Dal primo intervento a soccorso dei migranti, nel 2014, sono state migliaia le persone salvate. Dopo aver equipaggiato la Phoenix, un vascello di 40 metri dotato di gommoni e droni per il rilevamento delle persone in mare, dal dicembre scorso il Moas opera nell’Egeo a bordo del Responder, nave di 51 metri con due imbarcazioni di salvataggio ad alta velocità, dedicate a Aylan e Galip Kurdi, i due fratellini siriani morti nell’Egeo. E’ Regina a raccontare il perché di una scelta che ha messo in discussione tutta la loro vita, fatta di agio e lusso:

R. – Christopher e Regina sono scattati! Abbiamo voluto abbattere il muro dell’indifferenza e usare i nostri beni al servizio degli altri. Così abbiamo acquistato questa imbarcazione e ci siamo messi in mare, perché era in quel momento che il nostro fratello, il nostro prossimo, stava morendo; perché era in quel momento che lui aveva bisogno di essere tirato fuori dall’acqua, cambiato, vestito, sfamato. Un  grande motore è stato anche l’appello di Papa Francesco di usare i propri talenti al servizio dell’altro.

D. – Quale è stata la molla che vi ha spinti? Ci sarà stato un evento nella vostra vita…

R. – Sì. Noi stavamo attraversando il mare da Lampedusa alla Tunisia e ci siamo accorti che quella era la stessa rotta che facevano i migranti, però dalla Tunisia a Lampedusa. Noi eravamo in vacanza, e non c’è nulla di male ad andare in vacanza, ma se per noi quello era un mare di felicità, un mare dove spendevano il nostro tempo per rilassarci, per altri era, invece, la tomba alla porta dell’Europa. Quindi come cambiare sguardo? Come riuscire a cambiare questo? Mettendosi in gioco! Segni tangibili non solo di misericordia e di carità, ma anche di giustizia, perché nessuno deve morire in mare, in maniera così disperata. Noi dobbiamo aiutarli, adesso!

D. – Ci vuole un patrimonio per riuscire ad affrontare questa cosa. Che cosa cambia nella vita di una persona che fino a quel momento era un privilegiato, ed è tuttora un privilegiato?

R. – Cambia che noi siamo molto più ricchi adesso che non abbiamo più quella disponibilità. Siamo più ricchi perché siamo riusciti veramente ad aiutare, e non solamente Christopher ed io, ma tutte le persone del team Moas, oltre 12 mila persone! E questo ci rende umani, ci rende felici. Oggigiorno c’è una mancanza di empatia verso gli altri e non ne capisco il perché. Queste persone non sono numeri, non sono statistiche, ma sono persone che muoiono e spesso vengono dimenticate non devono morire e non devono essere dimenticate! Siamo molto più felici adesso, devo dire…

Due giorni fa la Nato ha annunciato l’intenzione di varare una missione per affrontare la questione migranti e smantellare le reti di trafficanti. Per Mauro Casinghini, direttore nazionale del Cisom, l’augurio è che possa funzionare e ridurre soprattutto le morti nell’Egeo:

R. – Certamente se la decisione è alla base di un contrasto concreto al traffico umano, l’iniziativa della Nato è sicuramente è una iniziativa necessaria. Ovviamente ne dobbiamo conoscere i confini e le regole. La cosa che personalmente devo dire un po’ mi preoccupa, è la riconsegna degli eventuali migranti soccorsi sul suolo turco. Occorre ricordare che l’Europa, per cose molto similari, ha addirittura condannato l’Italia, parlo del Consiglio d’Europa. Per cui da questo punto di vista dobbiamo capire in quale cornice si inserisce questo intervento, anche dal punto di vista del soccorso.

D. – Il rischio che potrebbe apparire è quello dei respingimenti?

R. – Bè sì! Devo dire che le regole d’ingaggio del Patto Atlantico sono differenti da quelle che dell’intervento di uno Stato membro nell’ambito di un soccorso. Però, sicuramente, si potrebbe configurare un problema di questo tipo: cioè persone che scappano dalla Siria attraverso la Turchia – faccio ovviamente l’esempio dei siriani – che vengono riportate sul suolo turco e questo naturalmente potrebbe creare anche un problema alla Turchia, perché poi di fatto dovrebbe avere il modo di sistemare questi grossi flussi di siriani che la popolano.








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