2016-02-11 12:29:00

"Il Barbiere di Siviglia" festeggia i 200 anni al Teatro dell'Opera


A 200 anni dalla nascita del “Barbiere di Siviglia”, avvenuta nel 1816 al Teatro Argentina di Roma, il capolavoro di Rossini viene celebrato nella capitale dal Teatro dell’Opera con un nuovo allestimento in scena da questa sera per otto repliche diretto da Donato Renzetti e con una regia firmata da Davide Livermore, che si annuncia ricca di sorprese e fantasia. Il servizio di Luca Pellegrini:

(Cavatina di Figaro dall’atto I)

Il “factotum” Figaro è divenuto, da quel 20 febbraio di 200 anni fa, uno dei protagonisti più amati, conosciuti e ascoltati del mondo. Il “Barbiere di Siviglia”, dopo il turbolento debutto romano di quella sera, di cui si scrisse e parlò parecchio negli anni a venire, con gatti in scena e tumulti in sala, ha preso ovunque possesso dei teatri d'opera e quello di Roma non poteva non festeggiare il bicentenario con una nuovissima e attesa produzione, come ha già fatto per l'altra opera "romana" di Rossini, “Cenerentola”, che andò in scena al Teatro Valle esattamente un anno dopo. Il Sovrintendente dell'Opera capitolina, Carlo Fuortes, ai nostri microfoni svela alcuni particolari:

R. - 200 anni fa Rossini, nella nostra città, scriveva due delle sue più straordinarie opere: prima 'Il Barbiere di Siviglia' – 20 febbraio 1816 – e poi 'Cenerentola'. Avrei quindi pensato di fare un grande omaggio con due nuove produzioni affidate a due grandi registi. 'Cenerentola' è andata in scena con Emma Dante e 'Il Barbiere di Siviglia' con Davide Livermore. L’idea di messa in scena per questi duecento anni crediamo che sia molto interessante e molto intelligente. E’ sì il duecentennale, ma è anche un grande omaggio alla straordinaria tradizione, sedimentazione, che nel corso di questi due secoli è avvenuta su questo titolo, che è anche un po’ la summa della grande commedia dell’arte italiana, del modo di fare opera buffa, del modo di fare poi tout court teatro. Quindi cerchiamo un po’ in questa messa in scena, in questa produzione, di raccontare anche questo grande sviluppo e, in questo, di fare veramente un omaggio al 'Barbiere di Siviglia', al suo grande compositore.

Donato Renzetti dirige il capolavoro rossiniano. Con grande emozione:

R. – Sono onoratissimo, anche perché ho diretto il 'Barbiere' tante volte e anche, soprattutto, con grandissimi cantanti del passato. Quindi ho imparato allora tante cose che ho tramandato a questi giovani, bravissimi interpreti di oggi. Ho cercato di sgrossare un po’ gli orpelli, i malcostumi avuti in queste opere. Sono opere, infatti, eseguite non solo nei grandissimi teatri, ma anche nei piccolissimi teatri, con pochissimi mezzi, con cantanti non all’altezza. Questo, quindi, è stato il lavoro maggiore. E’ un 'Barbiere' che definisco totalitario, perché in questi 200 anni di storia racchiude tutto. E’ totalitario anche nella pulizia di quello che dicevo prima.

D. – Concretamente mi può fare qualche esempio di questa pulizia, che lei ha voluto operare per questa esecuzione?

R. – Intanto, ho ripristinato i tagli, che erano assurdi. Se Rossini scriveva, infatti, una lunghezza di duetto o di aria, era perché voleva delle variazioni. Questo si tagliava perché molti cantanti non erano capaci di fare delle variazioni. Il 'da capo', quindi, non si taglia, è un grandissimo errore tagliarlo. Ma si tagliava perché i tempi di prova erano quelli; si tagliava perché i cantanti – come dicevo – non erano all’altezza di fare delle variazioni che sono veramente complicate.

La regia è affidata a Davide Livermore, uno dei registi più apprezzati e ingegnosi. Perché considera questo 'Barbiere' un atto di memoria?

R. - Fare un’opera è sempre un atto di memoria:  vuol dire sempre mettersi in rapporto con la memoria storica delle prassi esecutive, per chi vuole vederla così, cioè per chi sceglie di far parte della famiglia dell’Opera. E la famiglia dell’Opera è quel gruppo di pazzi toccati dalla bellezza, animati dal desiderio di essere parte di un flusso storico. L’Opera non è solo memoria di un passato, ma l’Opera, essendo viva e vivissima, ci riporta ad una nostra contemporaneità profonda, ad una possibilità di essere contemporanei in maniera profonda con l’arte. Questo vuol dire essere legati ad un senso di appartenenza, perché la memoria fa il senso di appartenenza.








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