La Conferenza episcopale canadese ha chiesto di essere ascoltata dallo speciale Comitato sul suicidio medicalmente assistito istituito dal Governo in vista della prossima scadenza del termine di un anno stabilito dalla Corte Suprema del Canada per modificare l’attuale normativa in materia. Il 6 febbraio del 2015 i giudici supremi hanno, infatti, dichiarato incostituzionale la legge che vieta la possibilità di ricorrere al suicidio assistito nel Paese e hanno dato un anno di tempo alle forze politiche per varare una nuova legge. Legge che intanto è stata approvata nella provincia del Québec nel 2014.
Le ragioni contro l’eutanasia condivise dalla maggior parte dei canadesi
In una lettera indirizzata ai Ministri della Giustizia e della Sanità, il presidente
della Cecc, mons. Douglas Crosby, plaude l’intervento dell’Esecutivo per ottenere
il rinvio dell’entrata in vigore del provvedimento in Québec, prevista lo scorso 10
dicembre, e la richiesta di prolungare il periodo concesso dalla Corte Suprema per
permettere un tempo di riflessione maggiore su un tema così delicato. Allo stesso
tempo il vescovo di Hamilton ribadisce le preoccupazioni e ragioni morali della Chiesa
contro il suicidio e l’eutanasia. Ragioni – sottolinea – condivise dalla maggior parte
dei canadesi, come testimonia, tra l’altro, l’ampia adesione alla campagna in difesa
della sacralità e della dignità della vita umana lanciata nei giorni scorsi dalla
Conferenza episcopale insieme dall’Alleanza evangelica.
Le conseguenze della legalizzazione del suicidio assistito prevedibili
Secondo mons. Crosby, l’esperienza dei Paesi che hanno legalizzato l’eutanasia e l’aiuto
al suicidio dimostra che qualsiasi legislazione che tenta di limitare le pratiche
eutanasiche solo ad alcuni limitati casi è debole e aggirabile: “Le conseguenze della
legalizzazione – afferma - sono facilmente prevedibili: tentativi di applicare l’eutanasia
e il suicidio assistito a nuove situazioni mediche; un sentimento crescente di angoscia
per le persone disabili, gli anziani, i malati cronici, le persone con depressione
e morenti sottoposte a minacce supplementari alla loro vita e serenità; erosione della
fiducia reciproca tra medico e paziente; più stress per gli operatori sanitari; accresciuto
rischio di pressioni sulle persone vulnerabili e le loro famiglie per incitarle e
non diventare “’un peso’”.
Il dovere morale di proteggere i più deboli e i più vulnerabili
Di fatto le ricadute nefaste del suicidio nella società canadese – prosegue mons.
Crosby - sono già visibili: basti pensare che il suicidio è la seconda causa di decesso
tra i giovani di età compresa tra i 10 ed i 24 anni e che il tasso di suicidio tra
le popolazioni autoctone è cinque volte superiore a quello dei non autoctoni. Di qui
il rimprovero alla Corte Suprema di avere trascurato con la sua sentenza “il dovere
morale della società di proteggere i suoi membri soprattutto quelli più deboli e vulnerabili”
e di avere incoraggiato i governi, le autorità sanitarie e le famiglie a non investire
nelle cure palliative, cure centrate sulla persona.
Puntare sulle cure palliative
Proprio su questo fronte infatti il Canada è gravemente deficitario: manca un’adeguata
formazione del personale medico; mancano investimenti e ricerche per le cure del
dolore. Di qui in conclusione il rinnovato appello a una riflessione serena e approfondita
su questo tema che coinvolga tutta la società canadese, compresa la Chiesa, per promuovere
le cure palliative, che sono la vera soluzione del problema: “Prendersi cura dei morenti
infatti non è aiutarli a togliersi la vita”. (L.Z)
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