2016-01-29 13:15:00

Frisina: con Inno alla gioia, Beethoven intuisce grandezza di Dio


“L’Inno alla Gioia” di Beethoven è stato il tema del terzo e ultimo appuntamento del ciclo delle Letture teologiche, promosse dalla diocesi di Roma, che si sono concluse ieri sera nel palazzo Lateranense. Filo conduttore delle tre serate: “La misericordia nell’arte”. Il servizio di Marina Tomarro:

Un inno che parlasse di gioia ma che in realtà puntasse a raccontare la libertà, attraverso musiche nuove mai sentite prima, trasmettendo emozioni al cuore di chi le ascolta. Con questo obiettivo tra il 1822 e il 1824 Beethoven compose la “Nona Sinfonia”, che nella parte corale include l’”Inno alla gioia” scritta qualche anno prima dal poeta e filosofo Schiller. Monsignor Marco Frisina, presidente della Commissione diocesana d’Arte Sacra:

R. - Per Beethoven l’“Inno alla gioia” era un desiderio della vita, qualcosa che voleva esprimere da quando era ancora giovane, ma già malato, già nelle sofferenze e nei tormenti, sia spirituali sia fisici. Era un testo di Schiller che lui amava e che sentiva, in qualche modo, come l’espressione della sua fede, sia verso l’umanità sia verso Dio. Per noi cristiani, la gioia è qualcosa che nasce dalla Risurrezione ed è bello vedere questa intuizione di un grande artista e di un genio come Beethoven. Di solito gli artisti sono un po’ profeti e vivono la loro vita in maniera misteriosa, ma cogliendo nella fede ciò che è centrale, cioè che è fondamentale, con tutti i tormenti e le difficoltà di comprenderne il senso. Ecco, io credo che l’“Inno alla gioia” di Beethoven sia per noi - proprio in questo anno giubilare - un messaggio straordinario: un uomo che, con la sua ricerca tormentata, intuisce la grandezza di Dio.

D. – Sant’Agostino diceva che cantare è come pregare due volte. Allora, quanto sono importanti anche il canto, la musica che accompagnano la preghiera?

R. – La musica ci è stata donata da Dio per esprimere ciò che le parole non possono dire o non hanno la sufficienza di dire. Io credo che la musica sia una specie di spessore e le parole con la musica acquistano uno spessore diverso. Sempre la musica - qualunque musica - è come una finestra che si apre nel cuore profondo degli uomini. Per cui è un modo con cui Dio può entrare facilmente.

 L’inno divenne subito di gran moda tra i giovani della Vienna del tempo, ma il suo successo è arrivato fino ai giorni nostri, tanto che nel 1972 fu adottato come "Inno Europeo" e nel 2001 dichiarato dall’Unesco "Memoria del mondo". Il maestro Michele Dall’Ongaro, dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.

R. – Bisogna ricordare che all’origine Schiller voleva scrivere un inno alla libertà e il gioco di parole in tedesco è facile: “Freiheit” invece di “Freude”. Ma La parola libertà era censurata e non poteva quindi scrivere “libertà”, ma l’intenzione è questa, perché non c’è gioia senza libertà e la libertà dà gioia: in questo sono sinonimi. Bisogna anche ricordare che quel testo era di gran moda tra i giovani: Beethoven voleva rivolgersi ai giovani con questo messaggio, perché non voleva cambiare il mondo, ma lo voleva costruire. Aveva proprio questa idea! Tutto il pezzo di Beethoven è dedicato alla costruzione di un mondo ideale, dove effettivamente la fede in Dio, che lui ha sempre avuto, si sposasse con la fiducia in una società migliore. E lui doveva intervenire… Quindi, nel momento in cui scrive questo inno, riesce attraverso una serie di processi ad elaborare un tema che noi abbiamo in un certo senso sempre ascoltato durante la sinfonia senza rendercene conto. Quando arriva - come la rivelazione - ci sembra già di conoscerlo, anche se non lo abbiamo mai sentito prima. Per questo crea gioia, perché è una rivelazione.

E l’“Inno alla gioia” ha concluso il ciclo delle tre Letture teologiche dedicate in questa edizione alla misericordia nell’arte. Ascoltiamo il cardinal vicario Agostino Vallini:

 R. – Abbiamo vissuto tre serate molto interessanti, raccogliendo tre grandi geni: Michelangelo, Caravaggio e Beethoven. Tre geni della potenza dell’amore di Dio, della sua bellezza e della sua onnipotenza in qualche modo. Davvero dove c’è la scintilla della potenza del Signore, lì l’uomo è migliore. Credo che, nell’anno del Giubileo, fosse necessario avere questa iniezione di entusiasmo, di speranza e di fiducia per ciascuno di noi, ma anche per essere portatori di questi messaggi nei nostri ambienti di vita. Quindi sono molto contento di quanto abbiamo potuto realizzare a Roma attraverso queste Letture teologiche. E l'appuntamento di quest’anno è stato veramente molto ricco.








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