2016-01-24 12:37:00

Convegno sul traffico di armi, banche sempre meno trasparenti


Dalle famigerate "cluster bombs" a ogni sorta di mitragliatrici e lanciarazzi, fino ad arrivare ad arsenali da guerra. Ammonta a circa due miliardi e mezzo di euro il flusso di denaro che orbita intorno al traffico delle armi e non conosce periodi di crisi. Se ne è parlato al convegno “Pace nel mondo e basta con il traffico delle armi!”, organizzato dal Centro missionario diocesano di Roma. Il servizio di Francesca Di Folco:

Siano maledetti quanti per arricchirsi fanno la guerra, che provoca vittime innocenti e riempiono le tasche dei trafficanti d’armi: con questa invettiva Papa Francesco ha denunciato l'efferatezza delle guerre non convenzionali e come sia stato raggiunto un livello di crudeltà spaventosa di cui spesso sono vittime civili inermi, donne e bambini. Per il Pontefice questi "sono i frutti della guerra, è una Terza guerra mondiale ma a pezzi". Renato Cursi, portavoce del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace per questioni relative al magistero della Chiesa sul traffico di armi:

R. – L’insegnamento della Chiesa trae ispirazione, certamente, da quello che è stato l’insegnamento di Gesù alla pace. A partire da quello, l’insegnamento della Chiesa si poi dovuto interfacciare con un mondo segnato dalla violenza e dal peccato. Per cui, se da una parte il Magistero della Chiesa, la Dottrina Sociale della Chiesa, il Catechismo della Chiesa Cattolica parlano del principio della legittima difesa a certe rigorose condizioni, dall’altra però è chiaro che le armi non sono una risposta al problema della guerra. Anzi, sono intrinsecamente violente e sono una minaccia alla pace. Papa Francesco fa fare dei passi in avanti a quello che è il cammino della comprensione cristiano-cattolica del problema del commercio delle armi, nel senso che denuncia la follia della guerra. Ha chiamato anche con degli epiteti molti forti questi trafficanti di armi: li ha chiamati “maledetti”, contrapponendoli agli operatori di pace. Ha chiamato “ipocriti” quei potenti che da una parte parlano di pace e dall’altra trafficano e vendono armi. Francesco non ha avuto paura nemmeno di collegare questo enorme fenomeno migratorio, cui stiamo assistendo, al commercio delle armi, perché va a provocare situazioni violente che generano poi queste migrazioni. Nella sua visita al Congresso degli Stati Uniti d’America, anche lì non ha esitato a condannare il commercio delle armi e ha invitato ogni persona a farsi carico della propria responsabilità nei confronti di questa industria e di questo commercio di armi.

Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell’Istituto di ricerche internazionali Archivio disarmo, spiega quali sono i maggiori Paesi interessati al traffico delle armi e quale ruolo ricopre l’Italia in questo scacchiere geo-economico:

R. – Le esportazioni di armi, in questi ultimi anni, sono andate continuamente crescendo. Rimangono comunque tra i grandi esportatori i cinque Paesi membri del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, più altri Paesi minori, tra cui l’Italia, l’Ucraina… Quello che preoccupa è che le importazioni si stanno dirigendo in misura significativa verso le aree "calde" come il Nord Africa e il Medio Oriente: anche se ufficialmente le armi non vanno direttamente ai combattenti, ma vanno a finire nei Paesi vicini e poi inevitabilmente trasmigrano. Tutto questo non può che aumentare l’instabilità dell’area. La risposta, purtroppo, della comunità internazionale non sembra quella di fermare questi flussi di armamenti, ma anzi assistiamo a un ulteriore invio di armi a tutti i Paesi coinvolti. Quindi, di fatto, tendiamo a provocare una ulteriore escalation dei conflitti nell’area. Ultimo esempio drammatico sono le forniture di componenti di bombe d’areo da parte di una azienda italiana, che ha sede in Sardegna, che sta appunto fornendo all’Arabia Saudita, la quale è impegnata in una guerra nello Yemen, a capo di una coalizione, in una missione non autorizza né avallata dalle Nazioni Unite. E questo è in contrasto con quanto dispongono le normative italiane e in particolare la legge 185 del ’90, che invece è molto precisa e tuttora vigente.

Gli istituti bancari sono attori di primo piano nella filiera della armi: dal marzo 2013 non sono più obbligati a chiedere autorizzazioni al Mef, Ministero dell’Economia e le Finanze per i trasferimenti di denaro collegati a operazioni in tema di armamenti. Ascoltiamo ancora Simoncelli:

R. – Da parte delle banche c’è una volontà di essere meno controllate rispetto a questi commerci e abbiamo anche assistito alla scomparsa di informative collegate al ruolo delle banche, nell’ambito della relazione che la Presidenza del Consiglio annualmente presenta al parlamento rispetto al commercio delle armi. E questa è una ulteriore mancanza di informazione, che penalizza invece i cittadini che vorrebbero sapere se i propri risparmi vanno a sostenere, in un modo o nell’altro, le transazioni finanziarie di queste banche. La relazione presentata dalla Presidenza del Consiglio appare sempre meno trasparente. E l’informazione è la base di ogni democrazia…

All’interno della relazione non figurano i dettagli delle operazioni bancarie e delle operazioni “autorizzate”: vi sono solo le "operazioni segnalate", quelle cioè che ogni anno svolge ogni banca, ma che non permettono di risalire all'intera operazione autorizzata.








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