2016-01-23 13:18:00

Tunisia: coprifuoco notturno dopo le proteste


E’ tornata la calma in Tunisia dopo l’ondata di proteste sociali per la mancanza di lavoro che in questi giorni ha attraversato tutto il Paese. Le autorità hanno imposto il coprifuoco notturno e decretato la chiusura della frontiera con la Libia. Il governo – che ha tenuto una riunione d’emergenza sull’occupazione - ha accusato i partiti politici di gettare benzina sul fuoco favorendo l’infiltrazione di gruppi terroristici come Al Qaeda e l'Is. Eugenio Bonanata ne ha parlato Luciano Ardesi, esperto di questioni nordafricane:

R. – Va ricordato che la rivolta è stata provocata per la morte di un giovane disoccupato che si era arrampicato, insieme ad altri, per protesta su un traliccio dell’elettricità: e questo perché queste persone erano state escluse da una lista di disoccupati che potevano ambire ad un posto in un ufficio pubblico. La denuncia era chiaramente di corruzione e di non trasparenza da parte dell’amministrazione pubblica. E questa è una piaga che - insieme alla disoccupazione - attanaglia il Paese da tempo e non sembra che il governo sia sufficientemente sensibile per porre fine a questa pratica.

D. – Questa situazione può favorire davvero l’azione dei gruppi terroristici oppure è una sorta di alibi da parte del governo?

R. – Va riconosciuto che la zona centrale del Paese, dove sono partite le proteste, è già da anni un serbatoio formidabile di terroristi: ricordiamo che gli oltre 7 mila foreign fighters, che sono sparsi tra la Siria e l’Iraq, provengono proprio dalle regioni centrali della Tunisia. Quindi il terrorismo lì c’era già o almeno le persone erano già state, in qualche modo, catturate dalle sirene del terrorismo. Il governo naturalmente ha ragione a temere che sulla situazione soffi poi il vento dell’Is, che certamente cercherà in questo modo di recuperare e reclutare altre persone per installarsi nel Paese. Va anche detto che finora, al contrario della Libia, la Tunisia non ha cellule dell’Is organizzativamente installate nel Paese, anche se è stata colpita dal terrorismo come è successo un anno fa con l’attentato al Museo del Bardo a Tunisi e come ha continuato a fare durante tutto l’anno…

D. – C’è tensione anche in Egitto, che si appresta a ricordare, lunedì, il quinto anniversario della rivoluzione contro Mubarak: qual è il clima nel Paese?

R. – Al-Sisi, malgrado tutte le misure adottate da quanto ha preso il potere, non è riuscito a sconfiggere il terrorismo. Basta ricordare quello che accade nel Sinai - una regione completamente uscita dal controllo del governo - e il fatto che gli attentati si ripetano al Cairo così come in altre località. Inoltre, per tentare di porre fino al terrorismo, al-Sisi ha impiegato le misure forti e tra queste anche l’eliminazione di quell’atmosfera di libertà che si era creata con la caduta di Mubarak. Contrariamente alla Tunisia, l’Egitto non ha trovato una transizione virtuosa: è stato necessario il ricorso ad un militare, appunto al generale al-Sisi, che ha preso in mano la situazione. Nel Paese, quindi, si respira un’area piuttosto pesante. Anche perché tutti gli oppositori sono stati messi a tacere o si tenta di metterli a tacere: Amnesty International e altre organizzazioni per i diritti umani contestano al governo di usare misure forti e assolutamente liberticide per mettere a tacere qualsiasi dissenso, anche non violento come può essere semplicemente una protesta sui blog o sui social network.

D. – Il giorno dell’anniversario, infatti, non si potrà manifestare…

R. – E’ probabile che i gruppi tenteranno di ritornare – come cinque anni fa – in Piazza Tahrir, ma credo che l’esercito verrà schierato per impedire la protesta o almeno che la protesta si allarghi il meno possibile.

D. – Come sta agendo il governo egiziano sul versante economico?

R. – Naturalmente l’Egitto, come già tutti i Paesi della rivolta araba, soffriva di una crisi economica dalla quale non è interamente uscito. Anche in Egitto c’è una forte disoccupazione e il turismo, che – come in Tunisia – era una delle fonti più importanti della ricchezza del Paese, è in crisi dopo gli attentati terroristici degli ultimi mesi. C’è stato il raddoppio nel Canale di Suez che dovrebbe portare delle risorse supplementari, ma questo certo non basta in un Paese così vasto e così popoloso a ripianare le disuguaglianze e le esclusioni sociali, che sono la molla principale della ripresa, delle rivolte, delle proteste in alcuni Paesi arabi.








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