2016-01-16 13:44:00

Papa nella Sinagoga, amicizia tra ebrei e cattolici è luce di speranza


Questa domenica, alle 16.00, Papa Francesco si reca in visita alla Sinagoga di Roma. Si tratta della terza visita di un Successore di Pietro al Tempio Maggiore della capitale, dopo quelle di San Giovanni Paolo II nel 1986 e di Benedetto XVI nel 2010. L’evento coincide con la Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei. Tema di quest’anno, sempre tratto dal Decalogo: “Dio Allora pronunciò tutte queste parole: Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo". Sul significato della visita del Papa, Fabio Colagrande ha intervistato don Marco Gnavi, incaricato dell’Ufficio per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso del Vicariato:

R. – Siamo giunti al decimo anno del commento a due voci del Decalogo; siamo a 50 anni dal Concilio Vaticano II. Questa visita di Papa Francesco alla comunità ebraica credo si ponga in continuità con l’afflato, la prossimità dei vescovi di Roma, San Giovanni Paolo II e Benedetto; è questa componente essenziale nella vita della nostra città, ma è anche questa prossimità, parentela spirituale nelle nostre università, che è un segno per il mondo. Questa visita cade in un tempo carico di tensioni e di problemi. Questa fraternità eloquente – per dire che ebrei e cristiani hanno un contributo originale da dare alla pacificazione del mondo – questo avviene anche in un contesto di amicizia, di consolidamento di un cammino ormai lungo, però carico di maggiori nuove responsabilità per il contesto europeo e mondiale, nel quale questa visita si colloca.

D. – Don Marco Gnavi, siamo a 50 anni della “Nostra Aetate”. I principi di questa Dichiarazione conciliare - mezzo secolo dopo - sono stati assimilati dai credenti?

R. – Io penso che in larga parte sì. Direi che è chiaro che l’alleanza mai revocata del popolo ebraico con il portato delle attese messianiche e il valore delle Scritture del Primo Testamento, sono ormai nelle fibre di gran parte della Chiesa. Naturalmente, questo non significa che non occorra ancora svelarsi reciprocamente, spiegarsi, raccontarsi, incontrarsi, e soprattutto – direi – camminare insieme. Perché nell’Europa di oggi, peraltro, ci sono tante tensioni; c’è un risorgente antisemitismo, pagato a caro prezzo da tante comunità ebraiche. C’è un’ideologia della paura che rischia di divorare anche quanto di positivo è già in atto per ciò che riguarda il dialogo, l’incontro, la distensione degli animi nel rispetto reciproco. Quindi c’è un compito rinnovato che attiene ai cristiani e agli ebrei di fronte a questo mondo complesso – complicato – e c’è un grande bisogno di buone notizie, ovunque. E io credo che insieme possiamo rappresentare una luce di speranza: questo vissuto urbano della grande metropoli, dove si scontrano, si incontrano comunità religiose oppure uomini singoli disorientati in un tempo difficile come il nostro.

D. – Possiamo parlare come terza visita di un Pontefice, dopo quella del 1986 di San Giovanni Paolo II, quella di sei anni fa di Benedetto XVI, ormai di una consuetudine. Però sicuramente non è un avvenimento scontato…

R. – No, infatti. Più che di una consuetudine o abitudine, parliamo di un desiderio reciproco di abbraccio, di incontro, questa volta appunto in un contesto nuovo, ma sicuramente si è fatto tesoro delle esperienze precedenti. Ciascuna visita ha segnato una tappa nuova, importante, in momenti particolari e critici. Io direi che è un cammino irreversibile: abbiamo bisogno gli uni degli altri, seppure in maniera asimmetrica. Ma di fronte alla storia abbiamo bisogno di essere insieme.

D. – Un’ultima circostanza importante è che questa visita avviene nel contesto di un Giubileo Straordinario della Misericordia. E sia la parola “Giubileo” che lo stesso concetto di Misericordia – lo ricorda anche il Papa nella Bolla di Indizione – ci collegano strettamente alla tradizione biblica, alla tradizione ebraica…

R. – Assolutamente. Il Giubileo, nella tradizione ebraica, faceva respirare la Terra: aiutava a ricomprendere il presente con uno sguardo di misericordia appunto che raggiungeva tutti. Per noi il Giubileo è anche un pellegrinaggio. Evidentemente questo non avviene da soli, ma affianco – accanto – nella fraternità con esponenti delle comunità altre. E la più prossima, la più vicina, con la quale abbiamo un debito fondamentale, profondo, nelle nostre radici, è la comunità ebraica. E noi siamo grati anche dell’attenzione e dell’accoglienza che Papa Francesco riceverà nel Tempio Maggiore, nella Sinagoga, perché in un certo modo, attraverso Papa Francesco, è un abbraccio che raggiungerà tutti noi.








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